La Dama Oscura: il mistero della figlia segreta di Maria Antonietta – leggi il primo capitolo

Tra i molti enigmi lasciati in eredità dalla Rivoluzione francese, quello della cosiddetta Dama Oscura continua ad affascinare storici e lettori, collocandosi a pieno titolo tra i più suggestivi esempi di mistero nella storia. Figura evanescente, quasi sempre ai margini dei documenti ufficiali, la Dama Oscura emerge come un’ombra silenziosa nei decenni successivi al crollo della monarchia, avvolta da un’aura di segretezza che sembra deliberatamente costruita.

Lisa Beneventi ci suggerisce che potrebbe essere nientemeno che una figlia sopravvissuta di Maria Antonietta, ufficialmente morta o scomparsa durante gli anni più sanguinosi della rivoluzione. Una possibilità che, sebbene priva di conferme definitive, si inserisce con coerenza nelle numerose anomalie che circondano il destino della famiglia reale e, in particolare, dei suoi figli. Registri incompleti, testimonianze contraddittorie, silenzi improvvisi: la Rivoluzione francese non fu soltanto un evento politico, ma anche un gigantesco terremoto archivistico.

La Dama Oscura viene descritta come una donna colta, riservata, protetta da ambienti aristocratici o ecclesiastici, che avrebbe vissuto sotto falsa identità per sfuggire a un passato troppo ingombrante. Il suo anonimato non sarebbe dunque casuale, ma una strategia di sopravvivenza in un’Europa ancora ostile a tutto ciò che ricordava l’Ancien Régime.


 

Capitolo 1

 

Chi non ama la solitudine,
non ama neppure la libertà,
poiché soltanto quando si è soli si è liberi.

Arthur Schopenhauer

 


Hildburghausen, ottobre 1807

 

Amo la mia solitudine.
Amo la mia libertà.
Amo cavalcare su e giù per le colline della Turingia, coperte di fitti boschi. Il vento soffia intorno a me, facendo svolazzare i miei abiti e i miei lunghi capelli biondi. Gli occhi mi bruciano mentre guido il mio destriero attraverso terreni accidentati, trasformando il paesaggio in un vortice di colori, suoni e profumi: il grigio del freddo cielo autunnale, il verde e il giallo degli alberi, i rumori cupi del sottobosco, quelli squillanti del cielo, i fruscii delle fronde e i profumi, tutti i profumi della natura selvaggia. Il mio cavallo sembra navigare senza sforzo attraverso l’erba alta e i cespugli, lasciando dietro di sé una scia di polvere e di muschio. È sicuro, è potente. È desideroso, come me, di libertà e di ebbrezza. Mi tengo salda in sella, confidando nella reciproca connessione tra me e il mio destriero. Ogni salto di ruscello, ogni ostacolo naturale rappresentano una sfida che entrambi affrontiamo con coraggio e agilità. Mi chino in avanti, cerco di mantenere un controllo fermo con le redini; i miei piedi sono ben ancorati nei supporti delle staffe. Il suono ritmico degli zoccoli sul terreno, misto ai nostri respiri profondi, mi trasmette un senso di armonia. Il bosco, con la sua bellezza incantevole e selvaggia, è il palcoscenico perfetto per questa mia fuga all’insegna della libertà. Guido con grazia e sicurezza; era da tanto che non cavalcavo.
Riscopro la gioia della mia fanciullezza.
Poi l’orizzonte si allarga, mentre continuo incrollabile a cavalcare nell’immenso spazio che si è aperto davanti a me. Il sole si fa largo tra le chiome degli alberi, creando un gioco di luci e di ombre.
L’energia travolgente e la sensazione di libertà mi avvolgono, permettendomi di sfuggire ai miei incubi e di immergermi completamente nell’esperienza di questa indimenticabile cavalcata nel bosco.
Mi sento felice. Mi sembra di volare, di sfiorare l’acqua, di essere un tutt’uno con il vento. Mi lascio scivolare verso luoghi di pace e armonia. Tutto è poesia, arte e musica; è come se un angelo mi trasportasse sulle sue ali e io fossi un’anima pura.
Nessuna violenza, nessuna prepotenza, nessuna costrizione. 
Mai più.
Sono libera!

È tempo di tornare.
So che Vavel mi sta aspettando, inquieto.

Eccolo davanti alla porta dell’austera Maison Radefeld. È serio. Mi aspetto una scenata da parte sua.
«Eccovi, dunque!» Il suo tono è secco.
«Ho fatto una cavalcata,» gli rispondo abbozzando un lieve sorriso ironico.
«Vedo.»
«Sono stata bene,» aggiungo per rassicurarlo.
«Ma potevate cadere, potevate essere riconosciuta, potevate fare incontri sgradevoli. Sapete bene che non dovete allontanarvi da sola.»
Mi aspettavo quel rimprovero.
«Ma che libertà è la mia, se non posso neppure andare a cavallo,» osservo, un poco stizzita.
«È per la vostra sicurezza, Madame. Lo sapete bene… e io sono qui per proteggervi.»
Poi, dopo qualche minuto di silenzio, mi annuncia: «Venderò i cavalli.»
«Come credete,» rispondo quasi indifferente, come se la sua decisione non mi riguardasse. Mi vuole fare un dispetto? Ebbene, non gli darò la soddisfazione di ferirmi.

Entro e salgo al secondo piano della Maison Radefeld, negli appartamenti affittati recentemente da Vavel. Mi siedo sul canapè davanti al camino dove un grosso ceppo arde lentamente dando vita a un’atmosfera accogliente e magica. Mi lascio andare… mi assopisco…
E i ricordi riaffiorano…

 

 

Huningue, dicembre 1795


Huningue. 
Alsazia. 
Vicino alla frontiera svizzera.
Hôtel du Corbeau.
Camera numero 10. Due stanze, una con un letto a baldacchino e una sola finestra, l’altra con un tavolinetto nel centro e una stufa in maiolica. Un solo ingresso.
Una giovinetta entra nella mia camera per portarmi da bere. 
Bevo. Mi tranquillizzo. Mi preparo alla partenza.
Méchain, colui che mi ha accompagnata e protetta fin qui nel mio viaggio verso la libertà, mi ha informata che una “Maison” attende Madame Royale a Basilea con il principe di Gavre, uno degli uomini più importanti della corte di Vienna, generale dell’imperatore, Gran Maestro dell’arciduca Carlo, governatore dei Paesi Bassi austriaci. La missione di Méchain è così conclusa. Se ne può tornare in Francia.
Nessuno vede la giovinetta uscire dalla camera. Si è nascosta.
Nel frattempo, siccome è stato rifiutato il guardaroba offerto da Bénézech, il ministro degli Esteri, come dono della Repubblica francese, l’ambasciatore Bacher ha fatto venire una sarta che ha un commercio di abiti a Basilea, Mademoiselle Serini, per preparare un guardaroba più semplice e adatto al lutto di Madame Royale. Resta più di un’ora nella camera numero 10. 
Bacher ha anche preso contatto con un negoziante di Basilea, un certo Reber, che ha una residenza di campagna in territorio svizzero, vicino al confine francese. È lì che Madame Royale sarà consegnata agli Austriaci. È lì che avverrà lo scambio. Su richiesta di Bacher, le porte della città sono state chiuse, onde evitare l’affluenza di curiosi. 
Più tardi vengono riaperte per lasciare passare le carrozze del principe di Gavre e del suo seguito, cameriere, valletti, cuochi. Nella carrozza di Madame Royale le tendine sono abbassate per nascondere il suo viso agli sguardi dei curiosi.

 

Hildburghausen,1807


Sto sognando?
Ecco. Lo vedo. Un corteo di carrozze avanza… attraversa il Reno, si dirige verso l’Abbazia San Biagio, verso Costanza e Inspruck. Attraverserà il Tirolo per arrivare a Vienna? So che il viaggio è stato organizzato in modo da varcare sempre terre austriache e non incontrare mai emigrati francesi. Ovvio. Bisogna essere prudenti, soprattutto nei primi tempi. 
Mi rivedo nella solitudine della camera numero 10. 
Mi sveglio di soprassalto. Un incubo. Il cuore mi batte forte mentre cerco di ricordare.
È Gomin che mi annuncia che è giunto il momento della partenza.

 


Heidegg, gennaio 1796


Mi svegliai di soprassalto, sbattendo le palpebre per abituarmi alla penombra della stanza. La mia mente era ancora annebbiata. Mi sentivo confusa e spaventata. Mi guardai intorno, cercando di capire dove mi trovassi. Piano piano, le immagini del castello in cui ero ospite si materializzarono nella mia mente, ma i dettagli del viaggio sfuggivano dalla mia memoria come sabbia tra le dita. Era stato lungo e faticoso. Gomin, il mio accompagnatore, non aveva pronunciato una parola. Scharre, il cocchiere, conduceva spavaldo i quattro cavalli che trainavano la carrozza. 
Mi sentivo sola e vulnerabile, circondata dalle ombre della notte. 
E dei fantasmi.

Arrivammo molto tardi al castello di Heidegg, costruito in alto, su una morena, nei pressi del lago Baldegg.
«Il complesso è composto da un torrione, una cappella, una casa residenziale e una fattoria, ed è situato in una posizione idilliaca tra boschi e vigneti,» mi spiegò Gomin. «All’interno del torrione si trova la più antica casa residenziale del suolo lucernese. Ora appartiene alla famiglia Pfyffer von Altishofen, dalla quale da secoli provengono i comandanti delle Guardie svizzere alle dipendenze del papato. Vi troverete bene, Madame, vedrete.»
Non sapevo cosa mi attendesse in quel castello, ma sapevo che avrei dovuto affrontare le mie paure se volevo sopravvivere. 
Gomin mi accompagnò nella mia camera, piccola, buia, quasi la cella di un monastero. La luce fioca di una candela mi rivelò i dettagli dell’arredamento di tipo gotico.
Che ci facevo lì?
Mi sdraiai, senza spogliarmi. Ben presto mi addormentai.
Fu un lungo, interminabile sonno.

 

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