Quando si romanza un true crime, come evitare la strumentalizzazione?
Quando si romanza un true crime, come evitare la strumentalizzazione?
Il personaggio è la chiave per creare una storia sensibile e non sensazionalistica.
di ©Amanda Pellegrino
per Crime Reads
Traduzione di Barbara Cinelli
I miei thriller preferiti sono quelli in cui si presentano studi sui personaggi con un collegamento ai crimini. Sono libri che raccontano le azioni, le reazioni, i comportamenti e le emozioni delle persone sullo sfondo di un mistero ricco di suspense. Si tratta di libri che parlano prima di tutto dei personaggi e poi del crimine. Libri come La ragazza più fortunata del mondo di Jessica Knoll (con una sparatoria simile a quella di Columbine), Le ribelli di Chandler Baker (con un collegamento al movimento #MeToo) e Le ragazze di Emma Cline (in cui c’è una setta simile a quella di Manson) sono ottimi esempi. Ci lasciamo incantare dal personaggio o dai personaggi principali perché la loro voce salta fuori dalla pagina. Facciamo il tifo per loro, li odiamo, li amiamo, vogliamo vederli prosperare o vederli soffrire. In ogni caso, siamo profondamente coinvolti.
La linea che separa una storia avvincente da una strumentalizzazione pettegola è sottile e confusa quando si tratta di narrativa basata su eventi reali. Il modo migliore che ho trovato per combattere il problema è creare personaggi irresistibili e accattivanti; personaggi che fanno sì che la storia sia incentrata su di loro e sulla loro esperienza, piuttosto che sugli eventi reali su cui il libro si basa o a cui si ispira.
Knoll ha parlato delle ricerche per descrivere una sparatoria in una scuola superiore, fatte durante la stesura de La ragazza più fortunata del mondo. “La storia di Columbine mi ha sempre affascinato”, ha detto a un giornale di Austin. “Avevo letto che si era sempre pensato ci fossero altre persone coinvolte, ma non si riusciva a dimostrarlo, e ho riflettuto su come sarebbe stato avere quell’ombra che ti segue per tutta la vita. Qualcosa che ti fa desiderare di dimostrare quanto vali.” Ed è così che è nata la voce della protagonista TifAni FaNelli. Una persona arrabbiata, che cerca disperatamente di avere successo per distrarsi dal suo passato o per porvi rimedio. La storia parla di come un crimine violento può persistere nella vita di persona quindici anni dopo. Come la cambia, diventa parte di questa persona.
Mi sono sentita allo stesso modo mentre scrivevo il mio secondo romanzo, The Social Climber. Il libro segue Eliza Bennet nella settimana del suo matrimonio, quando i segreti della sua passata frequentazione di un college evangelico iniziano a mettere in discussione le sue vere motivazioni.
Sono sempre stata affascinata dalle università iperreligiose. L’esperienza universitaria, per me, è stata un periodo di pseudo-libertà; la posta in gioco era relativamente bassa per una come me, abituata a osservare le regole, ma sono stata in grado di immergermi in una versione attenuata dell’età adulta. Una temporanea terra di mezzo, simile a un purgatorio, in cui vivevo con gli amici e prendevo decisioni da sola con linee guida o supervisione limitate. È stato un momento per iniziare a esplorare chi ero quando non c’era nessuno che mi diceva cosa fare o chi essere.
Le università cristiane estreme della mia ricerca, tuttavia, operavano in modo diverso. La Liberty University, la più grande università cristiana del mondo, è stato l’esempio più importante, seguite dalla Oral Roberts University e dalla Bob Jones University. Queste scuole avevano delle regole. Rigide. Sui codici di abbigliamento e sui visitatori, sulle amicizie e sulle relazioni. Stabilivano coprifuoco e rituali obbligatori. Volevo esplorare cosa succede quando una persona che cercava la libertà – pensando che il college fosse il mezzo per ottenerla – viene invece limitata. Mi sono chiesta come sarebbe stato cercare la libertà altrove, in che tipo di problemi si sarebbe cacciata una persona quando ogni decisione che prende è regolamentata. Mi ha fatto pensare alla restrizione relative alle abbuffate, che avevo imparato a conoscere per quanto riguarda i disturbi alimentari. Se si limita, si limita, si limita… alla fine è normale che ci si abbuffi. Se si è controllati, controllati, controllati… alla fine ci si ribella?
Avevo questa domanda in mente mentre pensavo al tema del libro: quale messaggio volevo trasmettere, quale conclusione volevo trarre?
È stato allora che ho iniziato a pensare a Chanel Miller. Nel 2015 fu aggredita sessualmente da Brock Turner nel campus dell’Università di Stanford. Turner fu condannato per tre capi d’accusa di violenza sessuale, e condannato a sei mesi di carcere. Ne ha scontati tre prima di essere rilasciato per buona condotta. Il caso è stato oggetto di discussione per quanto riguarda i privilegi e la gestione delle violenze sessuali nei college.
Se le scuole in generale non dichiarano le aggressioni sessuali – uno studio sostiene che “il tasso reale di aggressioni sessuali è almeno del 44% superiore ai numeri che le università presentano in conformità con il Clery Act” – cosa accadrebbe in una scuola che applica politiche di astinenza estremamente severe? Una scuola come la Liberty University, la Oral Roberts University o la Bob Jones University.
Nel luglio del 2021, una dozzina di ex studenti anonimi della Liberty University ha fatto causa alla scuola e si è fatta avanti sostenendo che i funzionari scolastici “scoraggiano, respingono e addirittura incolpano le studentesse che hanno cercato di farsi avanti con denunce di violenza sessuale”. La causa sostiene che “la scuola non ha aiutato le vittime di violenza sessuale e che il codice d’onore degli studenti ha reso più probabile l’aggressione rendendo ‘difficile o impossibile’ per gli studenti denunciare la violenza sessuale”.
Per me, la chiave per scrivere di questo argomento – per esplorare come il privilegio e le regole secolari contribuiscano alla cattiva gestione delle denunce di violenza sessuale nei campus universitari – è stata quella di non scriverlo affatto. The Social Climber non racconta una scena di aggressione esplicita. Al contrario, presenta Eliza Bennet, che si sta riprendendo dal suo passato e che è determinata a sistemare le cose. Si tratta di un personaggio che si sente arrabbiato e tradito e che ha bisogno di superare ciò che le è accaduto per andare avanti. Ha bisogno di sentire di avere il controllo perché gran parte del suo passato è stato definito dalla mancanza di autonomia, dalla mancanza di sé. Da una mancanza di libertà.
Da adulta, Eliza ha scalato la scala sociale, passando dall’educazione al culto religioso all’élite dell’Upper East Side. Ha un fidanzato splendido e ricco, un attico lussuoso, un lavoro di spessore. Ha sfondato in una città che non avrebbe mai accettato la vecchia lei. Anzi, la vecchia lei non ci avrebbe mai provato. È attraverso le sue acute osservazioni sul mondo privilegiato da cui è circondata che possiamo iniziare a capire come persone come Brock Turner o una qualsiasi delle decine di uomini che hanno aggredito le donne secondo la denuncia a carico della Liberty University possano essere protetti.
Si dice “show, don’t tell”, e credo che questo si applichi in modo particolare alla fiction true crime. Non fate la predica su ciò che state cercando di dimostrare e non elencate gli elementi del crimine che state cercando di mettere in evidenza. Scrivete un personaggio avvincente su cui i lettori possano investire e vivere tutto attraverso i suoi occhi. Lasciate che le azioni, le reazioni, i comportamenti e le emozioni del vostro personaggio diano inizio alla conversazione che vorreste avere.
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