Primo capitolo – L’ultimo a vedermi di M Dressler

Romanzo l'ultimo a vedermi di M Dressler, casa editrice Nua Edizioni

Primo capitolo – L’ultimo a vedermi di M Dressler

Buongiorno!

Vogliamo condividere con voi parte del primo capitolo del romanzo in uscita, “L’ultimo a vedermi” di M Dressler, un gotico moderno da una penna sofisticata.

 

Capitolo 1

È venuto a fare pulizia. Di me.

È così e basta.

È venuto a raschiarmi via, come si fa con un brandello di carne attaccato alla valva di un mitilo.

Vuole relegarmi a Evergreen, nel caotico cimitero riservato alle anime perdute. Questo cacciatore, lui spera di relegarmi laggiù con i più poveri tra i poveri, i dimenticati, con le lapidi storte delle tombe che nessuno cura, piegate all’indietro come se fossero sbalordite da quanto in là possa arrivare l’ingiustizia, persino dopo la morte. Nel cimitero, addossato alla chiesa di San Clemente, gli animali ammucchiano sul danno la beffa. Scavano verso le bare che si disintegrano, le nostre casse un sottosuolo ammollito, e riesumano schegge di osso e brandelli di pizzo. E i morti non possono farci niente, hanno le mani e i piedi legati.

Ma quale fantasma ha mai chiesto di essere rosicchiato e spogliato? Chi vuole giacere in un letto freddo che non si è scelto? Chi vuole che le proprie ossa siano fatte rotolare in un buco, come un dado truccato per finire solo su un numero, e sempre il peggiore?

Mettiamo, ora, che tu voglia cambiare il risultato. Mettiamo che tu intenda rifiutare di essere relegata nel camposanto dei poveri. Che cosa fai?

Lotti.

Creare problemi serve. Essere problematica. Testarda figlia d’Irlanda. Una volontà potente, questo ci vuole. Occorre volontà per non essere quello che tutti si aspettano da te. Occorre coraggio per non andare dove ti dicono di andare. Specialmente qui, lungo l’aspra costa settentrionale, in questo posto dove le maree potrebbero trascinarti sott’acqua così come lasciarti fare un respiro.

 

 

Nella baia del mio villaggio, tra le alghe che si depositano a riva, si trova una miriade di oggetti trasportati dalla corrente: sfere galleggianti di boe, lenze rovinate, sacchetti della spesa di plastica soffocati dalla sabbia. Sono cose che non possono lottare. Se alzate lo sguardo dalla spiaggia, piegando il collo verso la cima delle nostre fragili scogliere, vedrete proprio il paese di Benito, che ignora quei relitti, vestito nell’abito della domenica, persino nei giorni più bui. Perché ce li abbiamo i giorni bui, anche qui, nella parte più bella della California.

D’inverno, il cielo diventa così pesante da assomigliare a una cassa rivestita di seta imbottita che vi si chiude sulla testa. La nebbia è soffocante. Le sirene da nebbia mugolano. Le onde si trasformano in artigli sulle rocce nere, e l’aria sa di freddo piombo umido.

D’estate si sta meglio. È allora che i turisti arrivano con le loro lucide macchine colorate e gli eleganti vestiti estivi, a provare meraviglia per il panorama che godono dalla nostra penisola, a gustarsi tutte le costose prelibatezze, e non gli verrebbe mai in mente che ciò che stanno gustando, sulla lingua, nell’aria, non è solo il condimento estivo ma le ceneri di tutti quei coraggiosi uomini e donne che vivevano qui, come me, prima che ogni esistenza si trasformasse in sale.

È buffo, non trovate, che quelli che al mondo mangiano di più spesso non assaporano ciò di cui si sono cibati? Che quelli che hanno i mezzi per mangiare ciò che vogliono sono sempre più affamati, sempre di più, mentre quelli che tra noi patiscono davvero la fame spazzano i pavimenti e sfregano gli avanzi dai piatti e la notte lasciano il villaggio per dormire in posti in cui le stanze sono più piccole, distanti dall’acqua e dal panorama, nei boschi, in semplici letti dietro porte sottili come carta, perché il legno migliore è stato tagliato per qualcun altro, per Augustus Lambry e quelli come lui.

Quando arrivarono qui oltre centocinquanta anni fa, i taglialegna erano poveri, ma la loro volontà era immensa. Certo, lavoravano per uomini come Lambry, che dormiva in candide lenzuola pulite, ma abbattere gli alberi era il loro mestiere, per loro era una questione di vita o di morte sul limitare del vuoto, e tagliavano solo i tronchi più grandi e slanciati e li incanalavano lungo il fiume con la dinamite, da dove il legname arrivava alle segherie e al mare. In quei giorni, la baia di Benito era un ventaglio di acqua profonda, più profonda di quanto è ora, con cipressi fitti appollaiati come corvi sulle scogliere, eccetto dove era stato ricavato il percorso per le canalette di esbosco dei Lambry. Persino dopo che si cominciarono a costruire pensioni e saloon – quando si raggiungeva un certo numero di taglialegna bisognava costruirgli una città attorno – quegli alberi, e la gramigna delle sabbie sulle dune che ricoprivano il promontorio, crescevano liberi e selvatici. Poi, con il tempo, fu eretto il Main Street Hotel, dove le cameriere che lavavano e stiravano e cucinavano avevano la speranza di stare alla larga dai marinai con le loro mani lunghe, e sorsero i negozi dai tetti spioventi su Albion Street, e la chiesa di San Clemente con il campanile bianco che aveva fatto fuggire gli ultimi indiani, e alla fine il tempio costruito dai cinesi, con i tetti che si arricciavano come scarpette rosse lasciate al sole. E un po’ più tardi, sulla prima collina dopo le belle case dei commercianti, fu individuato il luogo per il cimitero di Evergreen. Evergreen, dove ancora riposano i poveri resti della mia famiglia, in una fila di lapidi spezzate.

Sopra i monumenti in marmo dei benestanti, i gabbiani gracchiavano e chiamavano, e galleggiavano le candide nuvole dalla veste bianca, mentre giù nella baia gli agili schooner  ondeggiavano all’ancora, cigolando, e là alla Punta, il faro faceva compiere alla sua lanterna gioiello un ampio cerchio, avvertendo dei pericoli nascosti.

Solo perché non vedi nulla, non vuol dire che non ci sia qualcosa.

 

Vi ricordiamo che il romanzo sarà disponibile in tutte le librerie e online.

Di seguito i link di alcuni store in cui potete trovare l’ebook

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