Il true crime sta cambiando (ed è una cosa positiva)

Il true crime sta cambiando (ed è una cosa positiva)

Il true crime sta cambiando
(ed è una cosa positiva)

di © Joseph Knox
per CrimeReads

Traduzione di Barbara Cinelli

 

Le preoccupazioni morali hanno stimolato una nuova generazione di scrittori a esaminare in maniera critica le conclusioni che traiamo da storie reali di violenza.

Il True Crime è un genere che ha dei precedenti – una fedina penale lunga un miglio – e segreti oscuri che risalgono fino al suo primo successo, il fondamentale A sangue freddo di Truman Capote del 1966. Il tentativo di un maestro di stile di scrivere il primo romanzo di non-fiction al mondo, una lettura straziante che racconta la tragica vicenda dell’assassinio di una famiglia in una piccola città del Kansas.

In effetti, la storia è narrata con una sicurezza e un trasporto tali da risultare tale sicurezza quasi troppo perfetta, troppo bella per essere vera, e molte delle persone intervistate da Capote come parte del progetto hanno poi messo in dubbio la veridicità dei fatti narrati, sostenendo che ne aveva citato male alcuni, travisato altri e, in diversi casi, evocato intere scene dal nulla. Di conseguenza, A sangue freddo è rilevante non solo in quanto opera d’arte quasi indiscussa, ma in virtù del fatto che ci permette di individuare quella che sarebbe diventata una critica ricorrente a questo genere.

Che alcune di queste cose non possono essere vere…

Helter Skelter di Vincent Bugliosi causò un clamore simile nel 1974, e rimane uno dei libri più venduti di tutti i tempi. È un resoconto avvincente del periodo precedente e successivo agli omicidi Tate-Labianca di Cielo Drive da parte dei membri della famiglia Manson, un crimine che provocò una tale onda d’urto nella società che è stato spesso descritto come la fine del movimento della controcultura. Bugliosi era un procuratore, un uomo di legge, e come tale sarebbe diventato lui stesso un rappresentante del genere negli anni a venire. Perché, naturalmente, coloro che lavoravano a contatto con il crimine – poliziotti, stenografi del tribunale e avvocati – godevano del comune beneficio di poter accedere con facilità al materiale d’indagine. Aveva senso che spesso gli scrittori di true crime provenissero da questa cerchia ristretta. Ma molti di loro avevano anche un secondo fine, una prospettiva e un particolare punto di vista da vendere.

Per decenni, Helter Skelter si è imposto come un documento torreggiante e irreprensibilmente vero, le cui vittime erano impossibilitate a parlare e i cattivi così ampiamente condannati che qualsiasi osservazione contraria potessero sollevare veniva immediatamente respinta. Solo negli ultimi anni, quando il genere ha iniziato a mettere in discussione i testi che lo costituiscono, forti dubbi hanno cominciato ad accompagnare il libro.

Ma se ci si aspetta che un romanziere “perfezioni” i dettagli, e che un procuratore esponga il proprio caso, che tipo di resoconto possiamo aspettarci da qualcuno che conosce un serial killer? Ann Rule, che sarebbe diventata una delle scrittrici più importanti del genere, conobbe Ted Bundy nel 1971, mentre lavorava in un call center che offriva assistenza anti suicidio, rimanendone quasi subito affascinata.

Anche se Bundy fu arrestato nel 1975 come sospettato di diversi omicidi a Seattle, fu solo quando furono presentate in tribunale prove fisiche inconfutabili contro di lui che Ann Rule credette davvero che il suo amico fosse colpevole. Sebbene questa presa di coscienza sia resa in modo commovente nel suo romanzo d’esordio del 1980, Un estraneo al mio fianco, l’autrice fu criticata per aver continuato ad avere una relazione con lui, mandandogli persino del denaro in prigione, sollevando così domande su quale sia il limite oltre il quale gli scrittori di true crime non dovrebbero spingersi per avere accesso alle storie che intendono raccontare, e sulle conseguenti implicazioni morali.

Eppure, lungi dallo scoraggiare la successiva generazione di autori di true crime, queste preoccupazioni morali sembrano invece averli stimolati. Il genere ha raggiunto la maturità, e questa nuova tipologia di scrittori ha deciso di gettare nuova luce sulle narrazioni acclarate. The Furious Hours di Casey Cep esamina il coinvolgimento di Harper Lee nelle ricerche di Capote per A sangue freddo, dimostrando non solo che l’autrice è stata essenziale per la stesura di quel libro, ma che forse le sue stesse perplessità sul genere le hanno impedito di completare una sua opera di true crime, che è rimasta a lungo in fase di gestazione.

Il contributo di Tom O’Neill del 2019, Chaos, invalidava in modo sensazionale e a volte scandaloso il già citato caso di Vincent Bugliosi contro la famiglia Manson, e fu una confutazione forense della sua opera principale, Helter Skelter. In Chaos, O’Neill afferma che la ragione per cui gli omicidi di Manson sono rimasti avvolti nel mistero per così tanti anni è il deliberato offuscamento da parte delle forze dell’ordine e delle agenzie governative, e sostiene l’esistenza di un vertiginoso ma fin troppo plausibile insabbiamento che avrebbe dovuto includere alti funzionari, così come lo stesso autore di Helter Skelter, Vincent Bugliosi.

Le valutazioni di Hallie Rubenhold sugli eccessi del genere, così come sugli appetiti di alcuni dei suoi lettori, risalgono a tempi ancora più lontani, e nel suo eccellente saggio narrativo del 2019, Le cinque donne, ridà vita alle vittime che furono assassinate dal killer noto come Jack lo Squartatore. Laddove molti resoconti hanno infangato le cinque donne perché prostitute, spesso trattando le loro morti come una sorta di conclusione scontata nel migliore dei casi, o come intrattenimento cruento nel peggiore, Rubenhold non solo individua gli esseri umani dietro quelle definizioni riduttive, ma li colloca nel giusto contesto. Donne della classe operaia che vivevano in un mondo di ineluttabile povertà e misoginia, ognuna con il suo bagaglio di amori, perdite, speranze e sogni, e pertanto meritevole della dignità di ricevere una narrazione accurata e corretta della propria storia.

Gran parte di questo cambiamento recente nel genere sembra essere frutto della volontà di mettere in discussione le storie a cui in passato ci era stato detto di credere: dai resoconti ufficiali della polizia alle decisioni dei tribunali, dalle testimonianze degli amici più stretti alle conclusioni di alcuni degli scrittori più famosi. Forse questa evoluzione è ciò che ha ridefinito il true crime nell’epoca attuale, con i detective da casa, da poltrona, i cittadini segugi che sono sorti dalle comunità investigative online e open source, e che operano in modo onesto grazie a un rigoroso controllo dei fatti, segnalando un cambiamento di rotta.

Da queste comunità sono emersi classici moderni, come I’ll Be Gone In The Dark, che puntò un riflettore su un serial killer fino a quel momento poco discusso, con il risultato che lo sceriffo arrestò il primo sospetto importante dopo decenni e ringraziò l’autrice del libro, Michelle McNamara. Ci sono stati anche fenomeni di cultura pop come il podcast My Favourite Murder, in cui molti episodi includono una parte chiamata Corrections Corner, dove le critiche e le imprecisioni degli episodi precedenti vengono mandate in onda per una piena responsabilità.

È in questo contesto, di un genere che fa i conti con il proprio passato burrascoso, che ho deciso di tentare qualcosa di opposto al romanzo saggistico di Capote. Dove lui ha preso eventi reali e vi ha applicato lo stile di un romanzo, io ho preso eventi completamente inventati e vi ho applicato lo stile true crime. La mia speranza era di far porre domande su tutto quanto detto sopra: l’idea che uno scrittore di true crime possa alterare i fatti per soddisfare se stesso, che un membro delle istituzioni possa usare una sua posizione privilegiata per mettere a tacere altre voci, e l’idea che uno scrittore possa avvicinarsi così tanto ai suoi soggetti da perdere obiettività e peggiorare una brutta situazione.

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Autore: Joseph Knox

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