Estratto del primo capitolo de “L’odore della colpa” di Tony J Forder

primo capitolo in anteprima del romanzo l'odore della colpa di tony j forder

Estratto del primo capitolo de “L’odore della colpa” di Tony J Forder

Estratto primo capitolo de “L’odore della colpa” di Tony J Forder

 

Nonostante l’ora tarda e il doversi alzare presto la mattina seguente, Bliss non fu svegliato dal suono del cellulare accanto a lui sul comodino. Stava leggendo da un’ora, la schiena appoggiata a un cuscino e un altro a sostegno del collo. Negli ultimi anni il sonno si era fatto sfuggente, e lui cominciava a sentire maggiore stanchezza nel profondo delle ossa. Una chiamata a quell’ora della notte, tuttavia, significava qualcosa di serio, quindi mise da parte il tascabile e prese il telefono.

«Ispettore Bliss,» rispose, con un brontolio non intenzionale.

Si passò pollice e indice sugli occhi, che sentiva gonfi e irritati. Rimase in ascolto per un momento, poi si girò in modo da buttare le gambe giù dal letto. Prese un blocchetto di Post-It azzurri e una penna, scribacchiò in fretta alcune parole e strappò il primo foglietto.

(…)

Dieci minuti dopo, la sua Insignia nera accostò in mezzo a una schiera di veicoli ufficiali in un’area adibita a parcheggio vicino al lago artificiale di Ferry Meadows, località di svago che si trovava al confine ovest di Peterborough. Mentre spegneva il motore, una figura con addosso una giacca catarifrangente gialla apparve dalla penombra. Bliss fece un gran sorriso all’agente che si stava avvicinando all’auto, sorpreso ma anche contento di scorgere un viso familiare sotto il cappello con visiera.

Mantenne quel sorriso caloroso mentre scendeva dall’auto e recuperava il pesante cappotto di lana dal sedile posteriore. Dopo averlo indossato allungò la mano. «Come diavolo ti va la vita, Lennie?»

L’ispettore Leonard Kaplan gli strizzò la mano un paio di volte e gli diede una pacca sull’avambraccio. «Non male, Jimmy. E tu?»

«Oh, non posso lamentarmi. Cioè, potrei, ma chi mi ascolterebbe?»

Osservò il collega con maggiore attenzione. Lui e Kaplan avevano lavorato insieme ad alcuni casi in passato, quando entrambi erano di stanza a Dagenham, nell’Essex. All’epoca erano sergenti e tra loro era nata immediatamente un’amicizia.

«Che cosa ci fai qua a Peterborough?» chiese Bliss.

«Mi si è presentata l’opportunità di trasferirmi e l’ho accettata. Mi andava di cambiare aria. Ho cominciato il mese scorso. Sono sorpreso di non averti visto in giro prima. Da quanto sei qua?»

«Mi sembra da sempre, Lennie. Eppure è come fossi appena arrivato. È una storia lunga.»

(…)

Alle spalle di Kaplan, i riflettori disposti in circolo emettevano un basso ronzio e uno strano bagliore in quella luce bidimensionale. Ovunque c’era gente che girava per la scena del crimine con un’aria di rispettosa solennità. Bliss accennò con il capo in quella direzione.

«Quindi, che cos’hai per me, amico?» chiese.

Kaplan scosse la testa, le labbra sottili tirate sotto i baffi in disordine tendenti al grigio. «Niente di bello, vecchio mio. Proprio niente di bello, ecco perché ho fatto chiamare voi dei Grandi crimini.»

Si girò e si diresse verso l’area dove fremeva l’attività, in cui uomini e donne con addosso tute protettive bianche vagavano come spettri indagatori.

«La squadra di videoanalisi forense ha finito con il corpo,» proseguì. «L’anatomo-patologo sta arrivando. Il resto degli addetti alla scientifica stanno aspettando che tu dia il via libera prima di fare quello che deve. Si stanno svolgendo le ricerche di base, come puoi vedere, e una squadra è stata chiamata a farne una più minuziosa quando ci sarà luce.»

I due si fermarono davanti a una tenda bianca, eretta sopra il cadavere per proteggerlo dagli elementi e preservare più tracce possibili. Bliss rivolse lo sguardo al lago, dove tenui frammenti di luce riflessa erano ormai visibili attraverso la nebbia in graduale diminuzione.

«Ci servirà una squadra di sommozzatori.»

«Credi che troveremo l’arma del delitto nel lago?» chiese Kaplan.

«Non si sa mai. L’arma del delitto, il mostro di Loch Ness, Amelia Earhart. Non mi meraviglierei di niente.»

Il collega gli fece un sorriso teso e disse: «Per stanotte ho visto tutto quello che volevo vedere. Sono sicuro tu abbia maggiore dimestichezza con ciò che ti aspetta lì dentro.»

Bliss annuì. Avrebbe voluto rispondere al suo vecchio amico che non era così, ma sfortunatamente immaginava fosse vero.

Un agente in divisa si avvicinò con un portablocco e gli fece registrare la presenza. Gli porse anche un pacchetto bianco avvolto nel cellophane. Bliss si tolse con riluttanza il cappotto e lo porse a Kaplan. Aprì il pacchetto, si infilò nella tuta protettiva, alzò la zip fino al collo e poi si strinse il cappuccio intorno alla testa.

Un altro fantasma da aggiungere alla congrega.

Infine indossò degli stivali di plastica e si fece schioccare un paio di guanti di lattice intorno alle mani. Senza dire un’altra parola mise piede nella tenda.

L’anziana donna giaceva sulla schiena, braccia e gambe allargate come a formare una grande X. Il cappuccio del parka beige raccoglieva il suo sangue sparso, che in quella luce innaturale riluceva come un’aureola di scivoloso greggio. A parte un paio di escoriazioni di poco conto, il viso era intatto. Sul resto del corpo c’erano troppi fori e segni di lacerazione per poterli contare, ma Bliss stimò che fossero alcune decine. Si accovacciò accanto al corpo per guardare meglio. La gonna della vittima, di tartan verde, era stata tirata su fino alla vita, le cosce martoriate e la vulva brutalizzata, molto probabilmente con la stessa arma che aveva perforato la carne con tale crudeltà. Il resto delle ferite sembrava distribuito a caso, anche se i seni erano stati lasciati intonsi. Il disgustoso atto finale di umiliazione: tutte e dieci le unghie erano state strappate dalle dita.

Non si vedevano da nessuna parte.

Bliss risucchiò saliva: sentì sapore di terra. Si chinò in avanti, ispezionando più da vicino le lacerazioni e le profonde ferite. Il prodotto di una grossa lama, a suo parere. Almeno quindici centimetri. Un coltello da incisione, forse una mannaia. Esplorò con lo sguardo l’area circostante, ma non vide nient’altro di interessante, a parte quella che sembrava la scia di un trascinamento e che si allontanava fuori dalla tenda. Sempre accovacciato, Bliss si abbassò ancora di più verso il corpo, goffamente, e controllò i calcagni delle scarpe della donna; poi si alzò. Aveva finito, ma diede un’altra occhiata, soffermandosi sul viso della vittima. Scosse la testa, chiedendosi quale storia avrebbe raccontato il suo corpo.

Potevano essere ormai privi di parola, i loro corpi immobili svuotati di ogni segno vitale, ma tutti avevano un’ultima storia da raccontare. Doveva solo trovare il modo per portarla alla luce.

Di nuovo fuori dalla tenda, Bliss esaminò la scena del crimine nella sua interezza, mentre si toglieva di dosso la tuta protettiva. La nebbia continuava ad assottigliarsi, e il bagliore della città insieme a una pallida luce lunare gli permettevano di vedere qualcosa, più o meno. Una schiera di colline all’estremità del lago si estendeva fino ad alcuni edifici sparsi. Alla sua sinistra, il parcheggio e le linee spigolose del Nene Outdoors, il centro di attività acquatiche all’aria aperta, a destra un gruppetto d’alberi a pochi metri di distanza. Uccisa lì dentro e poi trascinata dove sarebbe stata trovata con facilità: quella era la sua ipotesi.

Kaplan lo raggiunse mettendoglisi a fianco, il fumo che saliva in spire da una sigaretta tenuta mollemente tra le dita. Porse a Bliss il cappotto.

«È in momenti simili che vorrei aver preso il vizio,» disse Bliss, fissando il puntino luminoso mentre il collega prendeva un lungo tiro.

«Capisco cosa intendi.» Kaplan annuì, poi inclinò la testa verso la scena del crimine. «Di recente ci sono stati due casi simili. Questo ha lo stesso modus operandi?»

«Praticamente. Per quanto mi ricordo dagli appunti che ho letto, almeno. L’ispettrice capo che aveva in mano il caso ha dovuto prendersi un congedo, quindi questa per me è la prima volta. Non mi aspettavo di avere l’incarico, e invece l’ho ottenuto. Per adesso. Per quanto ne so sembrerebbe lo stesso killer. In precedenza però non aveva toccato la vulva.»

Kaplan fece una smorfia, scuotendo la testa da una parte all’altra come avesse ricevuto un colpo. «È un bel po’ di tempo che non vedo una cosa del genere.»

«E chi di noi l’ha mai vista? È un’escalation. E già era brutto prima. Chi l’ha trovata?»

«Il marito. Povero cristo. La donna ha portato fuori il loro cane per una passeggiata alle nove e un quarto circa. Abitano qua vicino e ogni sera fanno un giro intorno al lago, poi una scorciatoia per tornare a casa, seguita da un grog caldo in serate del genere. Lui non si è preoccupato subito per la sua assenza. Sua moglie si fermava spesso a chiacchierare con i vicini, quindi le passeggiate potevano durare dai trenta ai sessanta minuti.»

«Il nome della vittima?»

«Annie. Annie Lakeham. Il marito, Joe.»

«Quindi a che ora ha cominciato a pensare che ci fosse qualcosa che non andava?»

«Alle dieci e un quarto, dieci e venti. Non sono il genere di persone che amano disturbare il prossimo, quindi è andato a cercarla da solo. Ha compiuto il loro solito tragitto ma al contrario, pensando che l’avrebbe incrociata mentre tornava. Se fosse andato nell’altra direzione avrebbe potuto mancarla. In effetti l’ha incrociata, ma era il suo cadavere.»

«E il cane?»

Kaplan abbassò il capo. «In mezzo agli alberi. Il cranio fracassato, la gola tagliata, lasciato a morire. Sembra che l’assassino abbia tentato di seppellirlo ma per qualche ragione si sia fermato.»

«Seppellire il cane?»

Questo non aveva molto senso per Bliss, ma c’era sempre qualcosa, in una scena del crimine, che sembrava fuori norma, qualcosa che non combaciava con il resto. Tuttavia… lo strano non gli piaceva. L’inusuale non era di suo gradimento. Quando quei due personaggi si trovavano su una scena del crimine, di solito voleva dire guai.

(…)

«Dov’è adesso Joe Lakeham?» chiese.

«I paramedici lo hanno portato in ospedale. È in stato di shock. Ho mandato con loro un agente, se ti serve che faccia qualche domanda.»

Bliss scosse la testa. «Questo può aspettare. Anche se sarei interessato a sapere se sia stato lui a chiuderle gli occhi.»

Uno degli spettri fluttuanti sbucò dall’oscurità, fermandosi presso la tenda. «Qua ha finito, signore?» La voce di una donna, la domanda rivolta all’uno o all’altro.

Bliss annuì e Kaplan diede al capo della scientifica l’okay a spostarsi alla scena del crimine; sapevano cosa poteva o non poteva venire alterato prima dell’arrivo dell’anatomo-patologo. Kaplan prese il braccio di Bliss e si spostarono, passando rasenti la stretta schiera di alberi e uscendo su una larga distesa di terreno sgombro. Indicò un panorama di strutture massicce, il cui metallo scintillava lievemente nella luce scarsa.

«Un parco giochi per i bambini,» disse poi. «Più un’area per barbecue e picnic. Una zona gradevole e pittoresca. Non oso pensare chi avrebbe potuto scoprire il corpo se non lo avesse fatto il marito.»

Per un momento Bliss non disse niente, assorto com’era, la sua mente che riordinava troppi pensieri diversi. Kaplan aveva ragione: tali atrocità non sarebbero dovute succedere in luoghi di bellezza naturalistica. Spesso accadeva, ma restava comunque sbagliato. Quando alla fine parlò, la sua voce era bassa e calma.

«Lo stronzo ormai ci ha preso gusto, Lennie. È un tipo davvero fuori di zucca quello con cui abbiamo a che fare.»

«Concordo. In un certo senso sono contento di affidarlo a te e alla tua squadra.» Kaplan si cacciò le mani in fondo alle tasche della voluminosa giacca; l’aria umida doveva essergli entrata nella carne. «Te ne occupi tu da questo punto?»

Bliss annuì. «Vado in centrale e comincio ad aggiornare il mio team. Farò venire qui qualcuno per sollevarti dal lavoro, nel giro di un’ora circa.»

Kaplan allungò una mano. «Nessun problema. Tornerai anche tu, vero?»

«Nella tarda mattinata, suppongo. A meno che non emerga niente di nuovo prima di allora. Il patologo sa dove trovarmi.»

Camminarono verso la sua macchina, dove Bliss si tolse il cappotto di nuovo prima di infilarsi sul sedile. Allungò la mano verso il posto del passeggero, svitò il coperchio al thermos e si versò del caffè.

«Ti va una tazza?»

«No, grazie. Il camion del catering sarà qui presto, e ho un appuntamento con un panino alla salsiccia e un tazzone di tè.»

Bliss annuì e alzò la mano. «Mi pare giusto. È stato bello rivederti, amico.»

Kaplan fece un debole sorriso. «Peccato per le circostanze.» Chiuse la portiera e si ritrasse, ma appena il motore si avviò, fece un passo avanti e picchiò sul vetro. Bliss abbassò il finestrino, le sopracciglia inarcate.

«Non dimenticarti di quella birra con il curry che mi hai promesso,» disse Kaplan.

«Non me lo dimentico. Dammi solo l’opportunità di sistemarmi e avviare l’indagine.»

«Non sarà l’ultima, vero? Annie Lakeham.» Non era una vera domanda.

«No.» Bliss scosse la testa e guardò l’amico negli occhi. «Continuerà a farlo, se non lo fermiamo.»

«Che sadico pervertito deve essere. Stai attento, Jimmy. Quello è un mostro.»

Con la voce pesante di stanchezza ed esperienza, lui sospirò e rispose: «No, qua ti sbagli, Lennie. È un uomo. Solo un uomo, temo.» Scosse la testa e aggiunse: «Un pensiero bello spaventoso, eh?»

 

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