Anteprima – Il nido segreto – Martina Tozzi
Vi lasciamo una piccola anteprima gratuita di una delle nostre prossime uscite, “Il nido segreto” di Martina Tozzi.
Una storia suggestiva e travolgente che racconta la vita dell’autrice del classico “Frankestein”, Mary Shelley, e del poeta romantico Percy Bysshe Shelley.
Londra, 1797
Capitolo 1
God preserve this poor child, and render her happier than her mother[i].
– Mary Wollstonecraft
Le mancava la mamma. La mamma la stringeva forte, le sorrideva sempre, la chiamava Fannykin e la sollevava verso il cielo per farla volteggiare, solleticandole il mento con la sua voluminosa capigliatura argentea. Quando c’era la mamma si sentiva subito più tranquilla, era la sua voce che la calmava sempre.
Ma la mamma non c’era. Marguerite, la sua bambinaia, le aveva detto che era morta, ed era una cosa molto, molto triste. La casa era sprofondata nella disperazione, Marguerite non cantava più tanto come prima e papà era scontento di tutto. Anche Fanny si sentiva profondamente infelice. Sperava che la mamma non restasse morta ancora per molto.
Nella stanza di papà , quella che chiamavano lo Studio, era appeso un quadro che la raffigurava. Quando poteva, Fanny sgusciava lì dentro e lo osservava senza parlare. A volte allungava la manina paffuta cercando di toccarla. Il dipinto era troppo in alto perché potesse raggiungerlo, dietro il grosso tavolo di legno rossastro, chino sul quale papà trascorreva molte ore leggendo e scrivendo. Fanny sapeva che, quando era impegnato in quelle attività , non avrebbe dovuto disturbarlo, ma a volte la sfiorava il pensiero che anche lui, come la mamma, fosse sparito nel nulla, e allora dimenticava quella regola, andava a cercarlo e si faceva prendere in braccio. Lui la stringeva contro di sé, le baciava la testolina ricciuta e mormorava qualcosa con la sua voce profonda. Fanny gli si abbandonava addosso, si rannicchiava contro la sua spalla, e la preoccupazione e la tristezza che albergavano nel suo cuore scivolavano via. Aveva bisogno di sentire che papà la amava, di pensare che lui non sarebbe andato via.
Ma la mamma, oh, la mamma le mancava tanto. Aveva chiesto a Marguerite se la sua mammina sarebbe rimasta morta per molto altro tempo, e la sua bambinaia l’aveva stretta a sé mormorando:
«Povera Fanny, la tua mamma è morta, ma tu non sai cosa significa, non è vero? Vuol dire che non la vedrai mai più.»
Questo non le aveva chiarito le idee, perché Fanny non riusciva a capire cosa si intendesse con mai più. Non aveva domandato niente, ma ancora aveva dei forti dubbi sull’assenza della mamma.
Faceva freddo, quel giorno. Aveva fatto freddo per tutta l’estate, e ormai si approssimava il Natale, anche se Fanny non lo sapeva perché quell’anno a casa sua nessuno aveva voglia di festeggiare. La piccola aveva passato il pomeriggio in compagnia della bambinaia e giocando con il gattone della famiglia, che lei aveva battezzato Bobby. Ma, quando aveva sentito che la porta dello studio veniva aperta e che papà scendeva giù per le scale, approfittando dell’assopimento della bambinaia la piccola era scivolata silenziosamente fuori dalla sua stanza e si era intrufolata tremante nello studio di papà . Aveva il cuore in gola, e si sentì sollevata quando si richiuse con sforzo alle spalle la pesante porta in legno scuro e si trovò di fronte il volto amato e rilassato della sua mamma.
La mamma non la guardava, ma aveva gli occhi persi da qualche parte, intenta ad ammirare qualcosa oltre la tela. La sua figura emergeva dall’oscurità , lo sfondo era un grande spazio scuro e tutta l’attenzione era concentrata su di lei. Indossava una cuffietta nera e un abito bianco, e sembrava tranquilla, soddisfatta. Fanny sperava sempre che il ritratto si animasse e la mamma si voltasse per regalarle uno dei suoi meravigliosi sorrisi, ma non accadeva mai. Avrebbe tanto desiderato essere di nuovo in sua compagnia.
Gli occhi le si riempirono di lacrime. Perché la mamma non poteva tornare a prenderla in braccio e giocare con lei? Perché non la smetteva di essere morta? Tirò rumorosamente su con il naso, e stava per abbandonarsi ai singhiozzi quando un rumore di passi la fece trasalire. Qualcuno stava salendo le scale, e probabilmente presto sarebbe entrato in quella stanza. Papà non voleva che vi stesse da sola, era sempre preoccupato che potesse mettere in disordine i suoi fogli, e Fanny non voleva che si arrabbiasse con lei. Se l’avesse fatto infuriare così tanto da spingerlo ad andarsene, come la mamma? Svelta, la bambina si infilò sotto la grossa scrivania e desiderò con tutte le sue forze diventare invisibile. Forse la mamma glielo avrebbe concesso.
Suo padre, il filosofo dissidente William Godwin, fece il suo ingresso nella stanza seguito da Joseph Johnson, l’editore e il più caro amico della sua defunta moglie, Mary Wollstonecraft, anche lei pensatrice e scrittrice dalle idee radicali. Fanny si appiattì contro la gamba del tavolo. Poteva vedere solo i piedi dei due uomini, ma riconobbe immediatamente le calzature del suo adorato papà , che andò a sistemarsi alla sua sedia alla scrivania. Johnson sedette davanti a lui, all’altro lato del tavolo, e Fanny trattenne il respiro. Non si erano accorti di lei. Forse la mamma l’aveva davvero resa invisibile, dopotutto.
«William,» esordì Johnson Johnson guardando con preoccupazione il suo amico. «Non fa piacere a nessuno vederti in questo stato. Devi riprenderti.»
«Mi sono già ripreso al massimo delle possibilità ,» replicò con durezza Godwin. «Non penserai che sia così folle da ritenere che nel mio futuro potrà mai esserci una felicità simile a quella che stavo vivendo con Mary. Avevo appena iniziato ad assaporare le gioie della nostra vita insieme, e sono stato spaventosamente privato della sua presenza al mio fianco. Soffro enormemente per questo, ma sono grato di aver avuto la possibilità di condividere con lei parte della strada. Grazie al suo aiuto, la mia intelligenza si è ampliata e il mio cuore è diventato più grande.»
«Capisco bene quello che intendi, anche io amavo molto tua moglie, lo sai. Abbiamo condiviso tante esperienze, e la luce che brillava nel suo sguardo non sarà dimenticata,» sospirò mestamente Johnson. «Ma non possiamo smettere di vivere solo perché se n’è andata. Devi resistere, essere forte. Per le bambine, prima di tutto. A proposito, come stanno?»
«Mary cresce ed è robusta. Mi illudo che abbia ereditato qualcosa dell’energia di sua madre.» Fanny osservò i piedi di papà muoversi sotto la scrivania e trattenne il fiato. «L’ho fatta vedere al dottor Nicholson, chiedendogli di fare una valutazione frenologica. La piccola è scoppiata a piangere mentre la visitava, ha dei polmoni possenti.»
«Una valutazione frenologica?» la voce di Johnson suonò scettica, ma né Godwin né Fanny sembrarono rendersene conto.
«Esattamente. Mi sembrava una buona idea sapere cosa dovessi aspettarmi dalla figlia che io e Mary abbiamo generato.»
«E…?»
«Il medico è molto fiducioso riguardo alle doti di nostra figlia. Non ha individuato segni di una natura difficile, forse crescendo avrà un carattere lievemente fastidioso, ma non ha trovato nessun segnale di scontrosità o antipatia, nessuna caratteristica che porti a credere che sia incline alla rabbia. Per quanto riguarda le doti intellettuali, sostiene che avrà una grande memoria e intelligenza, e sinceramente non mi aspetto di meno dall’erede di una tale madre. Anche se, ovviamente, non ci sono molte possibilità che la possa eguagliare. Credo che non sia mai esistita una donna sua pari su questa terra.»
«E l’altra bambina, la piccola Fanny?» c’era un tono affettuoso nel modo in cui Johnson pronunciava il suo nome e, appiattita contro la gamba del tavolo, Fanny si sentì riscaldata.
«Soffre molto per la morte della madre. È diventata più taciturna,» ammise Godwin.
«Sto ancora cercando di mettermi in contatto con Imlay. Forse nella sua vita c’è una nuova donna, e se fosse una relazione stabile potrebbe essere una madre per Fanny. Dopotutto, è lui suo padre e…»
«Non c’è alcun bisogno di scomodare Imlay,» lo interruppe Godwin con un tono perentorio, facendo sussultare la bambina nascosta sotto la scrivania. Amava profondamente suo padre, ma a volte la spaventava. «Non si è interessato a Fanny quando Mary era in vita, e mia moglie ha tentato in ogni modo di farlo comportare come un padre. Ma lui ha smesso di versare il denaro alla bambina non appena io e Mary ci siamo sposati, perché riteneva che, a quel punto, io ne fossi diventato il padre. Fanny non ricorda Imlay, ed è me che chiama papà .»
«Dunque, non hai cambiato idea riguardo alla questione? Desideri ancora tenerla con te?»
«Mary ha lasciato dietro di sé sulla terra questa bambina che non ha alcun amico. Non nutro il benché minimo desiderio di affidarla alle mani di un uomo che, avendo la possibilità di passare la sua vita al fianco di una creatura come mia moglie, e per qualche strana ragione amato da lei sebbene privo di meriti, si è comportato come si è comportato. Non posso provare altro che pietà per la sua persona. Non riesco a immaginare che sia in grado di crescere Fanny, e credo che sia mio preciso dovere prendermi cura di lei, come sua madre desiderava. E poi, le voglio bene.»
Traduzione delle citazioni a cura dell’autrice:
[i] Dio preservi questa povera bambina, e la renda più felice di sua madre. – Mary Wollstonecraft
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