Anteprima – Il diritto di esistere – Elettra G. Cormak

Anteprima – Il diritto di esistere – Elettra G. Cormak

Vi lasciamo una piccola anteprima gratuita di una delle nostre prossime uscite, “Il diritto di esistere” di Elettra G. Cormak.

 

 

Prologo

La Riserva indiana

New York – 1972

 

Le luci della sera filtravano dai vetri della finestra e illuminavano l’ambiente, freddo da quando Julia, sua moglie, non c’era più. Ethan si ricordò di una leggenda indiana narratagli dal suo vecchio amico sciamano della tribù Navajo. Si sentiva solo. La solitudine non era mai stata grande amica di Ethan. Vinto dalla nostalgia, decise di andare a fargli visita. Keme: “segreto”, questo era il nome che il padre, Mano di Lupo, aveva scelto per lui.

Keme si era ritirato in una regione calda e arida, circondata da oasi sparse, a Sud-Ovest delle montagne dell’Arizona, preferendola alle riserve indiane dove avevano scelto di vivere gli altri membri della tribù.

Si sedettero intorno al fuoco che lo sciamano aveva acceso vicino alla sua tenda. Ethan non credeva del tutto a ciò che Keme gli raccontava, ma gli piaceva ascoltarlo; lo rilassava, facendolo sentire bene. Lo sciamano era l’unico che ancora conosceva l’antica lingua Navajo. Lui era colui che sapeva. Una conoscenza che andava oltre il trascendentale: oltre la stregoneria, oltre gli stati di trance con cui poteva richiamare entità superiori. Keme amava vivere come i suoi antenati, tramandando le tradizioni del suo popolo.

Prima di parlare nell’antica lingua sciamanica, Keme fissò Ethan negli occhi. Si accese il calumet e glielo porse. Ethan non poté rifiutare e fece due tirate, assorbendo lentamente il fumo che espettorò senza fretta.

«Nel tuo sguardo leggo sofferenza. Hai perso la tua anima…»

Ethan gli raccontò ciò che gli era accaduto: di Julia, e di come l’avesse lasciato, senza neppure il tempo di abbracciarla un’ultima volta.

Keme lo fissò di nuovo, e aggiunse: «Quando due persone destinate a vivere in eterno s’incontrano per la prima volta, negli occhi dell’altro riconoscono le loro anime. Riescono a vederle al di fuori della materia. Due puntini che brillano all’interno dell’iride, come due stelle che si cercano anche quando uno dei due non c’è più. Tu non hai perso il suo spirito: lo vedo ancora fisso nel tuo sguardo. Hai un segreto nascosto negli occhi, celato come in quelli della tua donna…»

Keme aveva ragione. Nella mente di Ethan c’erano ancora le immagini di Julia quando si pettinava davanti allo specchio, di lei sdraiata accanto mentre le accarezzava la nuca, nel momento in cui dormiva, assorbita dai suoi sogni.

«Un segreto…» Ethan ripensò a come tutto era cominciato, alla sua fine, alle parole di Frank e David, suoi amici d’infanzia. Keme gli aveva letto nell’animo. Sapeva la verità, era stato proprio il grande spirito di Manitù a suggerirglielo.

D’altronde, lo sciamano apparteneva allo spirito dei segreti. Una verità che Ethan avrebbe scoperto solo più tardi, grazie alla sua caparbietà nel proseguire a cercare, di individuare l’anima di Julia in ogni luogo dove potesse ancora scorgerla… nei suoi occhi.

Come Keme gli riferì, i loro spiriti erano sospesi nello spazio-tempo: una sorta di traiettoria lungo la quale di sicuro, prima o poi, da qualche parte nell’universo, si sarebbero ritrovati.

Capitolo I

New York

Ethan ritornò a casa e si preparò del caffè. Distolse lo sguardo dal fumo che usciva dalla brocca colma, che continuava a sbuffare, ricordandosi di doverla togliere dal fuoco.

Tornò sull’involucro che qualche giorno prima David gli aveva lasciato insieme a un biglietto con la frase: “Per Ethan: solo se lo ritieni necessario… aprilo”.

Ethan fissò il pacchetto.

Si alzò e si sporse dalle scale antincendio che immettevano nel cortile, aperto solo da un’unica via d’uscita. Guardò il chiarore della sera, che lentamente si affacciava all’orizzonte.

Qualche minuto dopo, la torcia puntata sul pacchetto cominciava a fare i capricci.

«Quanto ci mette a tornare!» esclamò riferendosi all’improvviso guasto che aveva gettato tutta la palazzina, incluso il suo appartamento, nel buio. Non ne aveva un’altra di ricambio. Quella sera, anche la luna faceva fatica a uscire da alcuni nembi che oscuravano il cielo. L’aria metteva i brividi. La temperatura era scesa di colpo. Si diresse in camera da letto, tirò fuori un maglione dall’armadio e se ne ritornò nell’angolo cottura.

Non si rese conto delle ore in cui rimase inerte a fissare l’involucro. La mattina dopo si ritrovò con la testa riversa sul tavolo della cucina e con il pacchetto ancora chiuso.

Alzò lo sguardo sulla città ancora addormentata, rimasta ferma, fuori dal tempo, ad aspettare che si ripopolasse di suoni e di luci.

Sebbene non da subito, New York gli era piaciuta.

Si stiracchiò. L’odore del caffè appena fatto saliva ancora dal bollitore spento. Si alzò e se ne versò dell’altro. Lentamente se lo portò vicino alle labbra e iniziò a sorseggiarlo.

Si sporse ancora dalle scale antincendio: un uomo era fermo nel cortile e stava leggendo un giornale. Prima di quel giorno non lo aveva mai notato. Ipotizzò che non doveva essere un inquilino del suo palazzo.

I pensieri di Ethan ritornarono sul pacchetto: quell’involucro chiuso in modo così ermetico doveva contenere qualcosa di importante.

Lo girò sottosopra. Notò subito il messaggio.

«Che cosa c’è scritto?» Ethan si sforzò di decifrarlo, ma le lettere erano sbiadite e non riusciva a distinguerle bene. Cercò di aiutarsi con una lente di ingrandimento: “Per Ethan. Aprilo solo quando sei solo”.

Quello era il momento buono. Non c’era anima viva: poteva benissimo scoprirne il contenuto. Allora, perché tentennava?

Lo rigirò più volte tra le mani. Lo annusò: era inodore. Ora quel pacchetto acquisiva, per Ethan Wells, un certo valore.

Le mani gli tremarono nel momento in cui fu tentato di slegarne i lacci. Qualunque cosa contenesse, c’erano alcune persone più interessate di lui a volersene impossessare.

Si guardò attorno con circospezione: nessuno. Il timore che qualcuno potesse entrare all’improvviso e saltargli addosso per appropriarsene lo rendeva nervoso.

Si affacciò di nuovo: era quasi giorno. Il rumore dei figli dei vicini che si preparavano ad andare a scuola lo ridestò dai suoi pensieri fissi su quale decisione prendere.

Sospirò passandosi la mano sulla fronte. Lo ritastò: era malleabile al tatto, non propriamente duro, fattore che lo distolse dal pensare che vi fosse contenuto qualcosa di legnoso o ferrugineo.

Considerò che potesse contenere un’arma. Ethan rifletté a lungo anche su quella possibilità.

Stava per vestirsi e uscire, quando il telefono iniziò a squillare: era David.

«Ethan, l’hai aperto?»

«Non ancora. Che cosa c’è sotto?»

«Aprilo e lo saprai…»

Nella voce di David, Ethan sentì un qualcosa di misterioso che lo impensierì.

«Lo farò al tuo ritorno.»

«Sicuro? Non so quanto ti convenga. Ci sono…»

«Pronto? David?»

Nessuna risposta. Probabilmente era caduta la linea.

«Pronto! David?»

Niente. Poco dopo aver riattaccato il ricevitore, il telefono riprese a squillare: questa volta era Frank.

«Ethan, con chi stavi parlando?»

«Dove sei?»

«Rispondi. Era David? Se sì, ascoltami. Se ti ha consegnato qualcosa… non aprirlo per nessuna ragione, o ci andranno di mezzo persone innocenti! Dammi retta.»

Frank sembrava ansioso di riattaccare.

«Che diavolo sta succedendo?»

«Julia… non farlo!» Appena sentì il nome di sua moglie, Ethan cedette.

«Okay, non lo farò.»

«David, non ha aggiunto nient’altro?»

«Mi ha detto solo di aprirlo. Di che cosa si tratta? Vuoi spiegarmi?»

«Non ora. Ho fretta. E non chiedermi come ho fatto a scoprirlo…»

La storia si stava complicando.

«Devi fare attenzione. Ci sono persone che non scherzano. Faresti meglio a seguire il mio consiglio. Aspetteranno il momento opportuno per appropriarsene. È gente che non si fa scrupoli ad ammazzare.»

***

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