Anteprima gratis – Shirley – Susan Scarf Merrell

Anteprima gratis – Shirley – Susan Scarf Merrell

Il primo capitolo della nostra prossima uscita, “Shirley” di Susan Scarf Merrell, in anteprima gratuita!

Buona lettura!

Aspettiamo i vostri commenti! 🙂

 

Uno

 

«I tuoi occhi sono verdi,» disse. Le passai il mio capo del lenzuolo e lei ne rimboccò con destrezza gli angoli, piegandoli una seconda volta per formare un quadrato ben teso, le dita nodose che svolgevano con rapidità un compito che io non avevo mai dovuto assolvere. A rifare i letti ero anche troppo brava ma, oh, il lusso di un secondo paio di lenzuola!
«No, sono blu,» replicai.
La porta dell’armadio si aprì docilmente per Shirley, signora di tutto il legno deformato di quell’eccentrica dimora. Ripose le lenzuola piegate e mi fece cenno di seguirla giù per l’angusta scala di servizio che portava in cucina. C’erano i piatti della colazione da fare. Lei li lavò, le mani arrossate dall’acqua insaponata. Io li asciugai. Poi, finalmente, rispose.
«Invidia. È desiderare quello che hanno gli altri.»
Be’, non aveva senso negare. Aggiunsi due piattini sbeccati alla pila sullo scaffale della credenza. Uno dei gatti neri, quello con la chiazza di pelo bianco sulla zampa, serpeggiò infastidito dietro le tazze, la coda tesa. Shirley svuotò il lavabo, spruzzando l’acqua che usciva dal rubinetto per eliminare gli ultimi residui di schiuma. «Io desidero solo quello che ho,» disse. «Ho esattamente ciò che voglio.» Si asciugò le mani con lo strofinaccio e si rinfilò la fede nuziale con una smorfia.
«Sa chi ama,» commentai.
Lei rise, come se avessi fatto un’affermazione molto arguta. Poi aggiunse: «Farò tutto il necessario per tenermi ciò che mi appartiene.»
«Capisco.» Riuscivo quasi a vedere mia madre che aspettava oltre la recinzione del parco giochi quando ero una bambina, l’aria di chi si sentiva indesiderata – o indegna – mentre giocavo con i miei coetanei. Era l’amore a trattenerla lì? Non ne avevo idea. Faceva quel che era necessario, proprio come aveva appena detto Shirley. «Protegge ciò che è suo.»
«Sì,» rispose lei con calma. «Esatto.» Indicò lo scatolone sul tavolo traballante della cucina. «L’ho portato giù per te. Cose per il bambino, tesori riesumati dalla soffitta. Puoi usare quello che vuoi.»
Spiazzata, ma ansiosa di compiacerla, lo aprii. Dopo aver tirato fuori una palla di fogli di giornale stropicciati, dispiegai con cautela la carta sino a farne emergere una tazza per bambini. «Che carina!» Era facile mostrarsi entusiasta per quell’oggetto di solida porcellana, un coniglietto dagli occhi chiari dipinto su un lato. Un giorno, il figlio o la figlia che avrei messo al mondo avrebbe potuto stringere quella tazza tra le mani e non avrebbe mai saputo cosa significava vivere in un mondo senza ceramiche di Beatrix Potter, e guarda un po’, pigiato tra i piattini imballati, un maglione verde con un allegro orso polare dagli occhi a bottone cucito sul davanti. Sapevo già che il mio bambino sarebbe stato molto più fortunato di me.
«Le tazze sono un regalo di mia madre.»
«Una per ciascuno dei suoi figli?»
«Ci avrebbe fatto comodo una mano per l’affitto, ma lei mandava porcellane e cucchiai d’argento. Tipico di Geraldine.»
«Li adoro.» Il pensiero di una madre che elargiva doni come quelli mi lasciava senza fiato.
«Abbiamo dovuto pagare i nostri figli a rate,» disse Shirley. «Non avevamo i soldi né per il medico né per l’ospedale. E lei mandava copertine. Per la culla che non potevamo permetterci. E vestiti da battesimo. Puoi immaginare quanto li gradisse Stanley.» La sua risata risuonò priva di allegria.
Qualsiasi cosa Shirley avesse da recriminare a sua madre doveva essere niente rispetto a quello che era toccato a me, pensai. Se aveva voglia di darmeli, avrei accettato di buon grado le tazzine, i cucchiai d’argento, le copertine e i vestiti usati dai suoi quattro figli. Desideravo quegli oggetti, perché non avevo mai avuto niente. Tirai fuori un pezzo di giornale da una ciotola per i cereali, lo lisciai per bene e lo misi sul tavolo. «E questa chi è? Una studentessa scomparsa?»
Shirley diede un’occhiata alla foto. «Oh cielo, sarà passata almeno una dozzina d’anni.»
PAULA WELDEN SCOMPARSA DAL CAMPUS DA DOMENICA. ESTESA L’AREA DELLE RICERCHE. IL PADRE DELLA RAGAZZA È ARRIVATO DA STAMFORD. L’ULTIMA VOLTA CHE È STATA VISTA LA STUDENTESSA INDOSSAVA UN PARKA ROSSO, DEI BLUE JEANS E DELLE SCARPE DA TENNIS CON LA SUOLA ALTA.
 
Diciotto, per la precisione. «Ti somiglia. Vero, Rose?»
Un foro nella trama di un giorno qualunque e un nuovo punto in quella di un altro. Il mio sguardo vagò per la cucina, evitando di posarsi su Shirley: se fossi stata Paula Welden, avrei compiuto trentasei anni quella mattina di settembre. «L’hanno mai trovata?» Tutto a un tratto saperlo mi sembrava fondamentale. Non per via della nostra somiglianza; c’era qualcosa di più. Era importante, oh sì, era più importante di ogni altra cosa, poter credere che se una donna fosse stata in pericolo, ci sarebbe stato qualcuno a cercarla.
Tremai, e sentii le pareti della cucina tremare con me come panni stesi a un filo che si agitavano in una giornata ventosa. Scostai una sedia traballante e mi sedetti. Non potei farne a meno.
«L’hanno trovata, vero?»
Shirley cominciò a scartare le altre tazze, allisciando una alla volta le pagine di giornale stropicciate. «No, mai. Ricordo che qualcuno pensava fosse scappata. Con un ragazzo. E l’operato della polizia locale fu sottoposto all’attento scrutinio dell’FBI.»
Era una bella ragazza, i lisci capelli biondi che le sfioravano le spalle, il sorriso disinvolto. Proveniva dall’elegante cittadina di Stamford, in Connecticut – anni luce da South Philly – e suo padre era venuto fin lì per unirsi alle ricerche. Doveva averla amata. Se avessi visto la foto di Paula Welden senza sapere altro della sua sorte avrei voluto essere come lei.
«Anch’io,» mormorò Shirley. Non ero sicura di aver parlato ad alta voce.
«La conosceva?» chiesi.
Un breve silenzio.
Il gatto nero sul davanzale della finestra smise di leccarsi la zampa, la lingua che faceva capolino tra i minuscoli denti aguzzi. Anche la casa trattenne il respiro; nemmeno un’asse del pavimento osò scricchiolare. «Non l’ho mai incontrata,» disse infine Shirley, il tono leggero. «Nemmeno una volta.»
Era una donna onesta, o così credevo. Ma può una persona che non fa altro che inventare storie essere dedita alla verità? Persino adesso la mia memoria torna a indugiare sugli eventi dell’anno che avevo trascorso in casa di Shirley Jackson, su ciò che avevo intuito a quel tempo e su quelli che ora so essere i fatti. Le circostanze reali hanno una luce peculiare, come macchie di sole sull’acqua o come il bagliore del ghiaccio su un masso erratico in un freddo pomeriggio del Vermont. Pensi di sapere dove ti trovi, sei sicura di ciò che hai vissuto, eppure, allo stesso tempo, sembra tutto un sogno.
Forse perché così è più facile crederci.

 

 

***

Vi ricordiamo che “Shirley” di Susan Scarf Merrell sarà disponibile in tutte le librerie e online.

Di seguito i link di alcuni store in cui potete trovare l’ebook!

 

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