Anteprima Gratis – La memoria del delitto – Linda Ladd

La memoria del delitto di Linda Ladd

Anteprima Gratis – La memoria del delitto – Linda Ladd

Anteprima gratis della nostra prossima uscita: “La memoria del delitto” di Linda Ladd.

Buona lettura!

 

Prologo 

 

La ragazza di Jesse

La notte dell’incidente

 

Soffocava, tossiva, ansimava in cerca d’aria… tutto ciò che riuscì a sentire all’inizio fu il cuore che gli batteva forte nelle orecchie. Intontito, non sapeva dove si trovasse. Da qualche parte, in lontananza, udiva il grido rauco di sirene urlanti. Bagnato fradicio, rabbrividendo per il freddo e lo shock, sgattaiolò fuori dall’acqua e posò la guancia sulla riva fangosa e sdrucciolevole, mezzo dentro e mezzo fuori dal fiume impetuoso, il sangue che gli scorreva lungo il viso, gli occhi che bruciavano. In qualche modo, sapeva che doveva andare avanti. Era in guai grossi. Un braccio era così intorpidito che non si sentiva più le dita, come se fosse rotto o in qualche modo ferito, nonostante riuscisse a muoverlo. Pensare con chiarezza era impossibile. Doveva trovare aiuto. Sì, giusto, doveva cercare aiuto.

Oddio, ma dove si trovava? Tutto ciò che riusciva a vedere nella notte buia erano alberi torreggianti sopra di lui e un fitto sottobosco impenetrabile. C’era vento, che scuoteva le fronde e lo faceva rabbrividire senza controllo. Raccogliendo tutte le forze, si costrinse a rimettersi in piedi. Doveva esserci un sentiero, una strada, una casa… qualcosa, da qualche parte tra gli alberi. Cadde in ginocchio, le gambe ancora tremanti, cercando di domare la mente agitata per ricordare cosa gli fosse successo, ma si sentiva stordito e debole e gli faceva male lo stomaco. L’oscurità intorno a lui era minacciosa, con il vento, le sirene e il ronzio stridente degli insetti notturni.

Stanco e confuso, rimase lì con le mani sulle ginocchia, lottando per respirare in modo normale. Quindi si rialzò di nuovo e appoggiò entrambi i palmi contro una quercia gigantesca, cercando di decidere quale strada imboccare, cosa fare e cosa gli fosse accaduto. Alla fine, la cacofonia nella sua testa scemò in un ruggito basso e doloroso, e lui cominciò a ricordare. C’era stato un incidente, pensò cupo, sì, era così. Il suo veicolo era precipitato in un fiume; aveva lottato per risalire in superficie e si era salvato.

Respirando l’aria umida della notte, si costrinse ad avanzare attraverso i cespugli fitti e le foglie morte che ricoprivano il terreno. Le sirene in lontananza smisero di suonare, una dopo l’altra. Poi, nella notte ci fu solo silenzio, ma stava cominciando a piovere. Riusciva a sentire il suono delle gocce che colpivano le foglie sopra di lui. Esausto, si trascinò in avanti, stringendo il braccio ferito contro il petto e premendo l’altro palmo sulla ferita sanguinante alla fronte. Quando individuò finalmente un sentiero, sgusciò fuori dalla vegetazione ritrovandosi in un ampio spiazzo erboso. Lì, si accasciò di nuovo a terra, spossato ma rincuorato dal fatto di non essere più da solo in quel fitto bosco. Le luci erano accese nel vecchio casolare sulla collina. Qualcuno era in casa, grazie a Dio. E ora, stava cominciando a ricordare tutto ciò che era successo. Annie, oh, Annie, dove sei finita? Scoppiò in lacrime, emettendo una sequenza di singhiozzi intensi per alcuni minuti.

Incapace di smettere di piangere, si arrampicò fino alla casa e crollò sfinito alla base dei gradini del portico. Si riposò un momento e cercò di controllare il dolore dovuto all’annegamento di Annie. Annie era la sua ragazza. Era sempre stata sua e solo sua. Come avrebbe potuto vivere senza di lei? Alla fine, ancora piangendo, si arrampicò su per gli scalini. La finestrella incassata nella porta proiettava su di lui un quadrato di luce gialla e vide che aveva le mani sporche del sangue che gli colava dalla faccia. Combattendo contro la debolezza e una mente vacillante, bussò alla porta e rimase sdraiato lì, a faccia in giù e sporco, troppo esausto per sollevare la testa. Pochi istanti dopo, la luce del portico si accese. Una donna anziana aprì la porta, e lo vide prostrato sulla soglia di casa.

«Oh, cielo, giovanotto. Cosa ti è successo?»

Con grande sforzo, si mise seduto. «Credo di essere finito con la macchina nel fiume. La prego, mi aiuti. Per favore.»

«Certo che ti aiuto. Riesci ad alzarti? Appoggiati a me, caro.»

Ubbidì, appoggiandosi pesantemente alla sua spalla. Dentro, la casa sembrava una fotografia degli anni ‘50 o ‘60. In quale parte del mondo si trovava? La carta da parati del piccolo soggiorno aveva un motivo di grandi rose rosse e viola su sfondo giallo, tutte in tonalità pastello sbiadite. Notò l’odore caratteristico di naftalina e cera per pavimenti al limone, e forse anche il profumo di cipria della vecchia signora. Si appoggiò alla sua fragile figura, pensando che fosse troppo anziana e vulnerabile per permettersi di far entrare in casa uno sconosciuto come lui, che non avrebbe dovuto aprire la porta a uomini che non conosceva. Grazie al cielo, però, era stata così fiduciosa. La vecchina lo aiutò a entrare nella piccola cucina e lo fece accomodare su una sedia di plastica rossa, davanti a un vecchio tavolo da pranzo con gambe in alluminio. Il ripiano era coperto da una tovaglia di plastica a scacchi rossi. Al centro c’era un vassoio Lazy Susan giallo con saliera e pepiera in ceramica a forma di maialini rosa e un portatovagliolo di plastica a forma di margherita gialla. Appoggiato alla sedia accanto a lui c’era un grembiule bianco con pettorina e lunghi lacci. Si sentì come se fosse finito nella casa della zia Emma del Mago di Oz e Judy Garland dovesse apparire da un momento all’altro con il suo cagnolino. Non ricordava però come si chiamasse.

«La ringrazio tantissimo per avermi aiutato,» riuscì a dire con voce vacillante e irriconoscibile. Tuttavia, si sentiva un po’ meglio.

«Avanti, non preoccuparti di questo, tesoro. Non mi capita spesso di ricevere visite in questo modo. È davvero bello sentire un’altra voce dentro questa casa.»

«Vive qui da sola, signora?»

«Oh, purtroppo sì. Da quando il mio caro Harry è morto, che Dio abbia in gloria la sua anima.» Attraversò la cucina e prese un canovaccio bianco pulito da un cassetto e lo bagnò al vecchio lavandino color verde avocado. Lui si guardò intorno per la cucina. Tutti gli elettrodomestici erano della stessa tonalità di verde. La donna ritornò con il canovaccio. «Ecco, piccolo, premilo sul taglio che hai sulla testa. Ti sta sanguinando addosso.» Lui fece una smorfia mentre la donna gli toccava la ferita. «Non sembra niente di grave. Penso che con una benda sia a posto senza dover correre al pronto soccorso. Ti fanno pagare così tanto che mi stupisco che la gente ci vada ancora.»

L’asciugamano che gli diede era sottile ed esibiva molti anni di utilizzo. Aveva piccole margherite gialle e bianche ricamate a mano lungo il bordo. Si asciugò un po’ di sangue dal viso e poi lo premette sulla ferita. «Ha un telefono, signora? Forse potremmo chiamare un’ambulanza o un taxi per venire a prendermi. Magari dovrei andare in ospedale. Non mi sento molto bene.»

«Ho disdetto il servizio telefonico quasi dieci anni fa. Ho dovuto, con la misera pensione di mio marito e tutto il resto. Non ho nessuno da chiamare, comunque. Tutte le persone che ho amato in vita mia sono morte prima di me. Come ti chiami, tesoro?» Si voltò e aprì un mobiletto sopra la stufa.

La guardò tirare fuori una bottiglia marrone di iodio, riflettendo su come rispondere. Una cosa che ben ricordava era che non poteva certo rivelarle il suo vero nome. No, no. Tentò di inventarne uno credibile e lo scelse così su due piedi. «Jesse Jordan,» le disse, apprezzandone il suono. «E lei, signora?»

«Sono la signora Rosalee Filamount, ma tutti in famiglia mi hanno sempre chiamata Miss Rosie. Così faceva Harry, che Dio lo abbia in gloria.»

«È davvero un bel nome, Miss Rosie.» Jesse guardò la stufa e il frigorifero datati, il grande forno a microonde e le lampade vecchio stile. «Miss Rosie, di sicuro ha qualche parente che l’aiuta se ha bisogno di qualcosa. Non è tutta sola al mondo, vero?»

«Sto bene da sola, grazie. Ho perso il mio unico figlio nell’ultima guerra e poi mia sorella minore due anni fa. Sissy aveva il cancro al colon. È stata l’ultima della mia famiglia ad andare da Nostro Signore. Ho portato la sua vecchia Caprice nella stalla per quando ho bisogno di andare in città. Ti ci posso portare, quando ti avrò medicato e ti sentirai meglio. Devo comunque andare a fare la spesa.» Miss Rosie sorrise, rivelando una protesi perfetta e ultra-bianca. Avvicinandosi a lui, ripiegò l’asciugamano e lo tamponò sulla ferita aperta per fermare l’emorragia, quindi applicò la medicazione. Lui gemette per il dolore terribile quando gliela premette sul taglio. «Hai preso una bella botta, Jesse, ma guarirà per bene, ora che l’abbiamo medicata. Hai male da altre parti?»

«No, signora, non credo. Il braccio mi duole molto, ma penso che sia solo un po’ ammaccato. Riesco a muoverlo bene ora. Immagino di essere ancora scosso.» Fece una risatina che risuonò nervosa, ma i suoi occhi non lasciarono mai la donna; la fissava, studiandola. «Le sono molto grato, Miss Rosie. È stata molto buona con me.»

«Non mi devi ringraziare, ragazzo. Sai, penso che ogni volta che aiuti qualcuno che ha bisogno o che si trova nei guai, ottieni una gemma preziosa per la tua corona celeste, sai, Jesse?»

«Certo, Miss Rosie. Mia mamma mi diceva sempre la stessa cosa.»

«Bene, ascolta la tua mamma. Le mamme di solito sanno sempre di cosa stanno parlando. È ancora viva?»

«Oh, no, è morta da molto tempo, è caduta dalle scale ed è morta. Ma era davvero bella e gentile e si è sempre presa cura di me.»

«Oddio, mi dispiace davvero. Sei ancora così giovane. Beh, che Dio benedica la sua anima.» Miss Rosie gli appoggiò con fare comprensivo un palmo sulla spalla. «Hai bisogno di un’aspirina, mi sa. Il mal di testa ti dà fastidio?»

«Oh, sì, signora. Ho un’emicrania da non credere.»

Guardandola prendere il flacone di aspirine Bayer dallo stesso armadietto, Jesse sospirò con fare pesante in quanto i ricordi stavano tornando. La vaga confusione nel suo cervello svanì e tutto fu chiaro. Osservò Miss Rosie prendere un vecchio boccale di birra A&W da uno scaffale sopra il lavandino. Premette entrambe le mani sul tavolo e si alzò in piedi. Quindi prese il grembiule con i lunghi lacci e si avvicinò piano alle spalle della vecchietta, che si trovava di fronte al lavandino. Miss Rosie dovette avvertire la sua presenza perché si voltò con rapidità. «Oh, mio caro, non dovresti alzarti così presto. Potresti svenire.»

Quando le avvolse i lacci intorno al collo e iniziò a stringerli sempre di più, così stretti che i suoi occhi blu sbiaditi si gonfiarono appena, Miss Rosie quasi non lottò, limitandosi a fissarlo con pazienza, come se fosse pronta a morire accettandolo di buon grado. Come se Jesse le stesse facendo un favore a mandarla in Paradiso con la sua corona celeste e tutte quelle gemme. Non ci vollero che pochi istanti per fare in modo che il suo viso diventasse viola e i capillari iniziassero a rompersi screziando di sangue rosso il bianco degli occhi. Le ciocche dei suoi capelli sottili e candidi come la neve, più lunghi di quanto avesse immaginato, si dispersero dalla crocchia stretta sulla nuca e gli ricaddero sulle mani, arrivandole fino alla vita.

Gli spasimi di morte diedero a Jesse una sorta di piacere supremo, a livello sessuale e spirituale: gli bastò guardarla esalare l’ultimo respiro. Perché era quello ciò che desiderava davvero. Ecco perché Dio l’aveva condotto in quella casa perché Rosie lo lasciasse entrare: per ucciderla in modo che si riunisse al caro Harry Filamount, lassù tra le nuvole in cielo. Prese a leccarle il viso mentre moriva. Aveva un amico nel reparto psichiatrico dell’ospedale, un certo Bones Fitch, che gli aveva insegnato a usare la lingua come fanno i cani. Acuiva i sensi, lo rendeva in grado di godere di tutto il dolore, la paura e la disperazione. Aveva preso l’abitudine di leccare sempre le persone quando ne aveva la possibilità; era così che le conosceva meglio.

Miss Rosie cedette alla morte molto più silenziosamente di quanto desiderasse, e con maggiore facilità rispetto alle altre persone che aveva strangolato. Povera, vecchia signora! Non meritava davvero di finire in quel modo una vita così lunga e felice. Gli piacevano i vecchietti come lei. Ma si sarebbe fatto perdonare. Andandosene da lì si sarebbe portato via la sua testa. Sua madre ne sarebbe stata contenta, avrebbe avuto una nuova amica con cui parlare; gliel’avrebbe presentata non appena fosse riuscito a scavare nella tomba di mamma per riprendersi la sua, di testa.

Continuò a leccarle via le lacrime dal viso anche dopo che lei aveva smesso di muoversi del tutto e scoprì che sapeva della cipria Cover Girl. Gli piaceva quel sapore. Sua madre usava quella cipria prima che suo padre la uccidesse. Adagiò l’esile corpicino di Miss Rosie sul tappeto giallo, rosso e blu della cucina e poi aprì tutti i cassetti alla ricerca di una mannaia. Era sicuro che Miss Rosie ne avesse una. Chi viveva in campagna aveva sempre coltelli da carne ben affilati per tagliare la testa e altre parti dei polli. Sarebbe andato tutto bene. Si sentì sollevato, libero da ogni problema e non ferito al punto di rovinare i suoi piani. Ma presto affiorarono le lacrime, che presero a rigargli le guance perché aveva perso la sua dolce Annie nel fiume. Tutti i piani che aveva fatto in ospedale non c’erano più. Non l’avrebbe mai portata via con sé, non avrebbe mai vissuto felice e contento con lei.

Ma forse poteva ritrovare il corpo di Annie. Rubarlo, come avrebbe fatto con quello di sua madre. Oh sì, poteva funzionare. Proprio quando le cose si stavano mettendo davvero male per lui, Miss Filamount gli aveva aperto la porta offrendogli la sua casa, la sua macchina e un bel posticino tranquillo per capire dove fosse finito il corpo di Annie. Le cose stavano davvero migliorando. Con la mannaia in mano, afferrò la vecchia per i capelli e la trascinò lungo il corridoio in cerca di una vasca da bagno. Non poteva certo sporcare di sangue la sua bella casa, così pulita e ordinata, giusto? Non dopo che quella donna era stata così gentile con lui.

 

 

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