Anteprima gratis – In Aeternum – Paolo La Paglia
Anteprima gratis della nostra prossima uscita: “In Aeternum” di Paolo La Paglia.
Buona lettura!
UNO
Martin e Adam
Un trillo lontano gli si insinuò nella mente, proprio quando Linda Chase stava cominciando a togliersi la camicetta. Era quella azzurra e trasparente che indossava la sera in cui loro due ci avevano dato dentro sulla spiaggia fino all’alba, una vita prima. Lottò con tutte le proprie forze per restare ancorato a quello che sapeva essere un sogno, ma non ci fu niente da fare; il suono lo riportò alla triste realtà e Linda svanì nei meandri del tempo e dello spazio, pronta a ritornare in un’altra occasione. Dischiuse gli occhi e nella penombra riconobbe l’ambiente oramai familiare del camper. Allungò il braccio alla sua destra e colpì il tasto per interrompere il trillo della sveglia, che cessò immediatamente. Controllò l’ora: le sei in punto. Sbadigliò rumorosamente e vincendo la tentazione di restare sotto le coperte, le scostò. Rabbrividì per la temperatura, quindi si sedette sul letto e inforcò le pantofole. Nonostante il condizionatore, il freddo della nottata appena trascorsa era riuscito a insinuarsi tra le lamiere del mezzo. Accese la luce dall’interruttore accanto al comodino e gettò uno sguardo alla branda di Adam. Le coperte pendevano da un lato e le lenzuola erano spiegazzate: era già in piedi. Si chiese come diamine riuscisse a dormire così poco. In quel momento la porta si aprì e, insieme a una folata gelida, fece il suo ingresso anche Adam, che salì i tre gradini sbuffando.
«Chiudi, maledizione, fa già freddo così!»
L’altro si tirò dietro la porta e si tolse i guanti. «Ah, stai sempre a lamentarti Martin. Aspetta di uscire in escursione. Saremo sottozero.»
Martin rimase a fissarlo mentre si soffiava nei palmi delle mani. «Questo lavoro ci ucciderà.»
Adam rise e fece un gesto come per scacciare una mosca. «Ma che dici? Questo lavoro è stato una fortuna.» Si tolse il cappello di lana e la sua testa pelata sembrò brillare alla luce artificiale dell’unica lampada.
Martin sapeva che il suo amico aveva ragione. Avevano entrambi passato la sessantina e l’agenzia investigativa che gestivano a Seattle aveva cominciato a vedersela brutta sei anni prima. Non era stata una cosa repentina. No, la crisi era stata subdola. Si era insinuata come un serpente che striscia nel sacco a pelo durante un campeggio nel bosco. Dapprima c’era stata una serie di disdette da parte di clienti che si dicevano dispiaciuti ma che non erano più in grado di far fronte ai pagamenti. Poi, diversi crediti per i quali avevano speso tempo e, soprattutto denaro, erano finiti nel computo delle mancate riscossioni. Infine, il telefono aveva smesso di suonare e loro due si erano ritrovati nella condizione di dover lasciare l’ufficio per mancanza di incarichi. Quando, in seguito, avevano dovuto abbandonare anche le rispettive abitazioni, si erano adattati a vivere nel camper di Adam. Avevano condiviso insieme quel declino come due stoici generali che affrontavano la sconfitta in una battaglia. Erano stati trascinati nella melma senza possibilità di aggrapparsi a qualche appiglio, potendo contare solo l’uno sull’altro, poiché non avevano alcuna famiglia alle spalle. Quando tutto era ormai sembrava perduto, aveva fatto la sua comparsa quel giornalista di Seattle, Malcom Rendell, e aveva offerto loro un lavoro. Aveva precisato che si trattava di un compito semplice che non comportava particolari rischi, e che gli avrebbe versato mille dollari a testa ogni mese per portarlo a termine. Martin aveva avuto l’impressione che quel tizio si fosse rivolto a loro già sapendo che non potevano permettersi di rifiutare. Probabilmente un’agenzia seria e senza problemi di liquidità non avrebbe accettato un incarico come quello, non solo per una questione economica ma proprio per cosa comportava il lavoro in sé. Il giornalista aveva raccontato una storia a dir poco strampalata su fatti riguardanti una fantomatica città che si trovava, seppur invisibile a occhio nudo, tra i boschi a nord dello Stato di Washington, e più precisamente nella contea di Snohomish. Rendell voleva che pattugliassero le zone adiacenti le strade interrotte a causa di alcuni crolli e che lo allertassero per qualsiasi “fatto strano” nel quale si fossero imbattuti. Gli aveva lasciato un paio di giorni per pensarci. Lui e Adam non avevano discusso a lungo. Quel lavoro era l’unico che si era prospettato da tanto tempo e, nonostante la stranezza, non sarebbe stato saggio rifiutarlo. In fondo, potevano seguire il caso fino a quando non si fossero rimessi in sesto per poi pensare di trovare un nuovo ufficio e ricominciare a fare sul serio.
«Insomma, mille dollari ogni mese per passeggiare, non è male,» aveva commentato Adam.
Così lo avevano richiamato e accettato l’incarico. Quello era accaduto un anno prima.
Naturalmente prima avevano svolto qualche ricerca. Si erano recati in un internet point (i pc li avevano svenduti al negozio di pegni), e si erano accertati che il nome di Malcom Rendell fosse davvero quello di un cronista del Seattle Times. Ma le corrispondenze finivano lì. Non avevano trovato alcuna cittadina che si chiamasse Golden Falls, né la prova che ci fosse mai stato un centro abitato nella zona di cui aveva parlato il giornalista. Al catasto risultava che quel tratto della contea fosse attraversato dalla statale novantadue, che era stata chiusa dalle autorità a causa di una serie di crolli dovuti probabilmente a degli smottamenti. A Martin era venuto in mente che potesse essere una specie di “test psicologico” svolto da qualche ente per attestare per quanto tempo gli individui potessero restare concentrati su un compito che in apparenza non aveva alcuno scopo. Qualsiasi cosa ci fosse sotto, era più di un anno che lui e Adam intascavano mille dollari al mese ciascuno. Rendell aveva anticipato loro i primi tre mesi. Con quei soldi avevano potuto comprare nuovi pc, ripristinare una connessione internet e rifornire di tutto punto il camper. Il giornalista si era presentato a sorpresa più volte nel corso di quel periodo di lavoro. Non era uno stupido e sapeva che un’occupazione del genere poteva essere presa sottogamba da chiunque ne fosse incaricato. Non era il loro caso. Per come la vedeva Martin, quel lavoro, anche se alla fine si fosse rivelato completamente inutile, gli avrebbe fornito l’occasione per tornare allo stato normale delle cose. Ecco perché lui e Adam si erano attenuti scrupolosamente alle disposizioni di Rendell pattugliando le zone che, di volta in volta, lui gli comunicava e annotando, su quello che Adam definiva “Diario di Bordo”, tutte le situazioni che si prospettavano. Il più delle volte, l’unica dicitura era: “Tutto tranquillo, niente di nuovo”. Tenevano quel grosso registro sempre aperto sul tavolo dove consumavano i pasti quando non erano di pattuglia, come facevano i capitani dei brigantini dei secoli precedenti.
Mentre il socio si dava da fare per preparare uova e pancetta, Martin si diresse al piccolo bagno sul retro del camper. Entrò, accese la luce e si contemplò nello specchio davanti a sé. I sessantadue anni di vita erano tutti lì, sul suo volto. Erano stati soprattutto gli ultimi tempi a segnarlo: rughe attorno agli occhi e solchi di preoccupazione sulla fronte. I capelli si erano ingrigiti e, dall’ultima volta che si era osservato con attenzione, si erano ritirati (e di molto) dalle tempie. L’aspetto positivo era che, a furia di fare quelle camminate nei boschi, aveva perso una decina di chili e il suo fisico appariva ancora tonico. Si lavò, si fece la barba e uscì dal bagno. Adam aveva già apparecchiato e un profumo invitante aleggiava nell’aria.
Alle sette, i due uomini scesero dal camper e si diressero verso il vecchio pick-up parcheggiato lì di fianco. Furia, il beagle che li accompagnava in ogni escursione, era già scodinzolante sul cassone scoperto e li osservava con i suoi occhi intelligenti. Martin contemplò per l’ennesima volta le transenne che delimitavano la porzione di strada che faceva parte della statale novantadue, crollata più di un anno prima. Dubitava che ormai l’avrebbero ripristinata. In fondo, da quel che sapeva, le amministrazioni interessate si erano già messe all’opera per una nuova strada che avrebbe tagliato fuori quella vecchia. Alzò gli occhi verso il cielo sereno. Sarebbe stata un’altra bella giornata di sole. In quel mese di maggio, anche se l’aria rimaneva ancora frizzantina, ci si avviava inesorabilmente verso l’estate in cui tutto si rivelava più semplice. Era durante l’inverno che si incontravano le difficoltà maggiori.
«Ha “abbaiato” qualcosa stanotte?» chiese Martin una volta saliti sulla vettura.
«Niente. Tutto muto,» rispose l’amico mentre avviava il motore.
Tra i compiti che gli aveva affidato Rendell c’era anche quello di monitorare le frequenze radio per rilevare eventuali messaggi che sarebbero potuti arrivare dalla fantomatica cittadina di Golden Falls. Registravano tutti i segnali che il ricevitore panoramico riusciva a captare. Il giornalista aveva anticipato che sarebbe stato difficile cogliere qualcosa, perché vi era una sorta di “cupola” che tratteneva tutto ciò che tentava di uscire dal perimetro. Una sorta di “buco nero” terrestre, lo aveva definito. Lui e Adam non avevano commentato l’ennesima stranezza di Rendell; in fondo, i soldi che sborsava erano suoi e poteva buttarli nel modo che preferiva.
Adam fece manovra e si immise sulla strada che li avrebbe portati verso la porzione di bosco da esplorare quel giorno. Proprio in quel momento, il cellulare di Martin emise l’attacco di Rock and Roll dei Led Zeppelin. Si affrettò a estrarlo dalla tasca del giaccone e premette il pulsante per avviare la comunicazione, portandolo all’orecchio. Una voce squillante lo investì.
«Buongiorno Martin, ci sono novità?»
«No, signor Rendell, nessuna novità. Non ha “abbaiato” niente neppure stanotte.»
Ci fu un momento di silenzio dall’altra parte. «Capisco. Che zona batterete stamani?»
Gli occhi di Martin si spostarono sulla cartina appuntata con uno spillo sul cruscotto davanti a sé. «Oggi ci concentreremo sul quadrante I-7.»
Udì un fruscio. Probabilmente il giornalista stava verificando sulla propria cartina. «Okay,» gli rispose, «buon lavoro. Avvisatemi se trovate qualcosa.»
«Certo, signor Rendell. A presto.»
La comunicazione si interruppe.
Adam scosse la testa. «Ci sono novità?» ripeté con ironia, «come se fosse possibile.»
Martin fece una smorfia e ridacchiò. Tornò a guardare al di là del finestrino il solito paesaggio al quale ormai si era abituato. Avevano suddiviso quell’immenso territorio, costituito da boschi da esplorare, in settori di cinque chilometri quadrati ciascuno. A loro volta, ciascun settore era suddiviso in altri più piccoli, in modo da non tralasciare nulla.
«Che cosa dobbiamo cercare esattamente?» aveva chiesto al giornalista più di un anno prima.
L’altro aveva risposto con le parole più strane e inaspettate che avesse mai sentito.
«Qualunque oggetto che non faccia parte della “normalità” dei boschi: orologi, penne, valigie, protesi…»
«Protesi?» lo aveva interrotto Martin.
«Sì. Dentiere, occhi di vetro e perfino arti artificiali.»
Rabbrividì. Arti bionici. Come se fosse normale trovare una gamba in carbonio sotto un pino o un occhio di vetro abbandonato su una roccia.
Vi ricordiamo che “In Aeternum” di Paolo La Paglia sarà disponibile in tutte le librerie e online.
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