Anteprima gratis – Il peso del sangue – Laura McHugh

Anteprima gratis – Il peso del sangue – Laura McHugh

Vogliamo condividere con voi un estratto della nostra prossima uscita!

Di seguito potete leggere gratuitamente un estratto del thriller psicologico “Il peso del sangue” di Laura McHugh.

Buona lettura!

 

I.

Capitolo 1

Lucy

 

Più che le condizioni del corpo, la cosa che innervosì maggiormente la gente del posto fu il fatto che Cheri Stoddard fosse stata trovata.

Un sabato di marzo, la nebbia si era insinuata nella valle del fiume e si era congelata durante la notte. Il sole mattutino crepitava sul paesaggio spettrale che si stendeva dall’altra parte della strada rispetto all’emporio di mio zio: le querce che si affacciavano sulle rive del fiume North Fork si erano cristallizzate, ricoperte da una spessa crosta di brina. L’albero più vicino alla strada era morto, e si sporgeva più in là degli altri, mezzo cavo, con un’angolazione che rendeva precario il suo equilibrio sopra l’acqua. A detta di Buddy Snell, un fotografo dell’Ozark County Record, un trio di avvoltoi si era posato tra i rami. In mancanza di qualcosa di meglio da stampare sulla prima pagina del giornale, Buddy aveva scattato foto dell’albero, del netto contrasto tra rami bianchi e piume nere. Era suggestivo, aveva detto. Quasi inquietante. Si era avvicinato e si era inginocchiato sulla riva del fiume per ottenere un’inquadratura più interessante, ed era stato allora che aveva notato la lunga treccia marrone che galleggiava nell’acqua bassa, appena visibile tra le pietre. Poi aveva notato la faccia lentigginosa di Cheri, il naso corto, gli occhi troppo distanziati per essere belli. Infilati nella cavità dell’albero c’erano i restanti pezzi, la pelle incisa con ustioni e tatuaggi creati da una mano inesperta. Buddy aveva scattato dozzine di foto della scena del crimine, ma l’unica che era arrivata sul giornale era stata l’inquadratura a distanza dell’albero ghiacciato, il suo manto di avvoltoi e il nastro giallo.

Cheri aveva diciassette anni quando morì, era un anno più grande di me. Avevamo vissuto nella stessa strada sin dai tempi della scuola elementare, e lei veniva a casa mia a giocare ogni volta che ne aveva voglia, e restava finché mio padre non la mandava via. Le piacevano soprattutto le mie Barbie, perché non aveva bambole sue, e passavamo tutto il giorno fuori alla catasta di legna a creare casette per loro, e a fare piscine con il tubo per innaffiare. Mai una volta sua madre l’aveva chiamata o era venuta a cercarla, nemmeno quando si era nascosta nel mio armadio per passare la notte da me. Mio padre l’aveva scoperto la mattina seguente e aveva iniziato a urlarci contro, ma poi aveva guardato Cheri, le lacrime che le gocciolavano dal viso mentre divorava i waffle surgelati che le avevo cucinato, e si era zittito e ci aveva fritto un po’ di pancetta e uova, aspettando che finisse di mangiare e piangere prima di darle un passaggio a casa.

I bambini a scuola, inclusa la mia migliore amica Bess, pensavano che Cheri fosse strana e non volevano giocare con lei. Sapevo che era lenta, ma non mi ero resa conto che c’era davvero qualcosa di diverso in lei fino alla quarta o quinta elementare, quando aveva iniziato a sparire nell’aula per gli studenti con bisogni speciali per la maggior parte della giornata. Dopo l’omicidio, articoli di giornale la descrissero come “carente” o “disabile mentale”, con le capacità intellettive di una bambina di dieci anni. Non eravamo molto unite al liceo – in un certo senso ero cresciuta più di lei e passavo la maggior parte del tempo con Bess –, ma comunque condividevamo una fermata dell’autobus al bivio di Toad Holler Road, e lei ci arrivava sempre prima di me, e si metteva seduta su un tronco sotto gli alberi di cachi, fumando sigarette che aveva rubato a sua madre e stuzzicandosi le numerose crosticine. Mi offriva sempre una sigaretta. Non sapevo come inspirare, e probabilmente nemmeno lei, ma restavamo sedute là ogni mattina, gomito a gomito, a parlare e ridere avvolte da una nuvola di fumo.

Un giorno ero arrivata prima di Cheri alla fermata. Mi ero preoccupata quando l’autobus era apparso sulla strada sterrata e lei ancora non c’era, perché sua madre la mandava sempre a scuola, malata o no, anche solo per togliersela di mezzo. Erano passati diversi giorni senza che ci fosse alcuna traccia di lei, così mi ero addentrata nei boschi fino alla roulotte di sua madre e avevo bussato e bussato, ma non aveva risposto nessuno. Correva voce che Cheri avesse abbandonato la scuola e, quando finalmente qualcuno della contea era andato a dare un’occhiata, Doris Stoddard aveva detto che sua figlia era scappata. Non aveva denunciato la sua scomparsa perché pensava che sarebbe tornata.

Sulle vetrine dei negozi nella piazza della città erano stati affissi i volantini, e io ne avevo incollati diversi in quello di mio zio, il Dane’s, che apparteneva alla nostra famiglia da generazioni. Sopra la foto di Cheri, stampato in grassetto, c’era scritto Scappata di casa. Non ero convinta che se ne fosse andata da sola, ma nessuno sembrava credermi. Col tempo, i volantini erano sbiaditi e si erano accartocciati, e quando erano caduti non erano più stati riappesi al loro posto.

Era passato un anno tra la scomparsa di Cheri e il suo omicidio, e in quel lasso di tempo quasi nessuno aveva parlato di lei. Sembrava che non mancasse ad anima viva, tranne che a me. Ma non appena il suo corpo era stato ritrovato, non si parlava d’altro. Era l’avvenimento più importante che avesse colpito la nostra piccola città, Henbane, negli ultimi anni. Erano arrivate orde di troupe televisive, che avevano parcheggiato i loro furgoni vicino al fiume per riuscire ad avere un’inquadratura dell’albero, su cui era germogliato un modesto memoriale fatto di animaletti di peluche e fiori. Facevano irruzione al Dane’s chiedendo caffè e Red Bull e lamentandosi delle strade e della copertura scadente dei cellulari. Quelli che avevano ignorato Cheri mentre era in vita erano improvvisamente desiderosi di condividere i loro legami con l’ormai famosa ragazza morta. Di solito mi sedevo dietro di lei a educazione fisica… Un anno è salita sul mio trattore durante la parata di Natale… C’ero quella volta che ha vomitato sull’autobus… Oh, sì, penso di esserci stato anch’io.

L’intera città vibrava di nervosismo e speculazioni, chiedendosi dove fosse stata in quell’anno e perché fosse ricomparsa proprio in quel momento. Era risaputo che sulle colline, con i loro infiniti nascondigli, i corpi scomparivano. Venivano dati in pasto ai maiali o sepolti nei boschi o gettati in pozzi abbandonati. Non venivano smembrati e messi in mostra. Non era così che si facevano le cose. Era quella mancanza di aderenza alle usanze che sembrava spaventare di più la gente. Perché qualcuno avrebbe dovuto rischiare di essere scoperto per mostrarci cosa aveva fatto a Cheri, quando sarebbe stato così facile tenerla nascosta? L’unica spiegazione ragionevole era che il responsabile fosse un forestiero, e i forestieri alimentavano la paura come nessun criminale locale avrebbe mai potuto fare.

Dopo l’omicidio di Cheri, il ferramenta di Meyer esaurì le serrature e le munizioni. Poche persone uscivano dopo il tramonto e quelle che lo facevano erano armate di fucili. Mio padre, che faceva lavori edili ovunque potesse trovarli, di solito a un paio d’ore di distanza a Springfield o Branson, si prese una breve pausa dal lavoro per restare a casa con me.

Ripercorsi nella mente le nostre mattine insieme, le mie e quelle di Cheri, setacciando le ultime conversazioni. Aveva parlato perlopiù dei suoi “fidanzati”, pervertiti che gironzolavano intorno alla roulotte di sua madre e le dicevano che era carina e cercavano di toccarla. I ragazzi della nostra età, quelli a scuola, erano crudeli. La chiamavano “ritardata” e la facevano piangere. Io le avevo consigliato di ignorarli, ma non avevo mai detto loro di smetterla, e fu proprio quello che ricordai quando il corpo di Cheri apparve nell’albero: i modi in cui l’avevo delusa. Come io ero stata la sua migliore amica, ma lei non era stata la mia. Come mi ero preoccupata che potesse essere accaduto qualcosa di brutto quando era scomparsa, ma non avevo fatto nulla al riguardo. Ero tornata col pensiero a quando eravamo piccole, quando ero meno amica sua di quanto lei pensasse. Le avevo regalato la mia Barbie Sparkle Dream, non perché fosse la sua preferita, ma perché le avevo rovinato i capelli.

La primavera fu di breve durata. Le colline erano in un’estasi di fioriture, una ricchezza imbarazzante di alberi e fiori selvatici: cornioli color crema e rosa, nuvole di vivaci boccioli di lavanda, tappeti di phlox, latrea e ranuncoli. Poi, le foglie crearono baldacchini, avvolgendo il bosco nell’ombra. I rampicanti e il sottobosco diventarono verdi e ripresero il loro continuo strisciare, e il calore sbocciò in un essere vivente, con le sue mani indesiderate su di noi in ogni momento. Cheri era stata sepolta a Baptist Grove nella bara di una bambina, che era più economica e abbastanza grande per contenere ciò che restava del suo corpo, ma non riuscivo a smettere di pensare a lei, a come aveva condiviso così tanto con me, senza dire tuttavia una parola sulla sua fuga da casa.

Ora maggio era quasi finito e non c’erano ancora veri indizi nel caso di Cheri. Tutti in città parlavano dell’omicidio, discutendo se l’albero in cui era stata trovata dovesse essere abbattuto o trasformato in un qualche tipo di monumento commemorativo, ma ormai la maggior parte della gente stava tornando alla propria routine, pensando che quello che era successo fosse una cosa isolata e non una minaccia costante per la comunità.

Mancavano solo pochi giorni alla fine della scuola e lo shock e la paura per la morte di Cheri erano svaniti al punto che i bambini ci scherzavano su. La maggior parte dei miei compagni di classe pensava che l’avesse uccisa il signor Girardi, il nostro ex insegnante d’arte, nonostante avesse un alibi incontestabile. Era tornato a Chicago nel periodo in cui Cheri era scomparsa, dopo meno di un semestre a Henbane. Allora, i bambini avevano iniziato a mettere in giro pettegolezzi sul fatto che Cheri potesse essere scappata con lui, che lui aveva una passione per le ragazze ritardate. Perché, altrimenti, si chiedevano, avrebbe incoraggiato i suoi patetici interventi in classe, o le avrebbe permesso di pranzare nell’aula di arte?

Il signor Girardi era stato condannato fin dall’inizio, per il semplice fatto che non era originario del posto, ma peggiorava le cose ogni volta che apriva bocca. Quando un ragazzo in classe gli aveva dato il benvenuto nella terra di Dio, lui si era chiesto ad alta voce perché le chiese nella terra di Dio fossero in inferiorità numerica rispetto ai monumenti al Diavolo. Era vero: il crinale spinoso di Devil’s Backbone, la spina dorsale del diavolo, il burrone senza fondo della Devil’s Gullet, la gola del diavolo, la sorgente che sgorgava dal Devil’s Eye, l’occhio del diavolo. L’anatomia del male era incisa nell’arenaria del paesaggio. Il signor Girardi aveva passato un’intera lezione paragonando Henbane ai dipinti dell’Inferno. Il terreno era roccioso e ricoperto di argilla rossa, il sottobosco spinoso popolato da ogni sorta di bestie aggressive e dotate di pungiglioni. Le strade si attorcigliavano su se stesse come intestini. Il calore risucchiava il respiro dal petto. Persino il nome, aveva detto prima di essere licenziato per averci mostrato un Bosch pieno di tette, Henbane, è un altro nome per la belladonna: l’erba del diavolo. È ovunque. È tutto intorno a voi.

Mi era dispiaciuto per il signor Girardi perché non capiva il motivo per cui tutti lo trattavano come un intruso. I turisti transitavano sul fiume, ma gli estranei di rado si trasferivano in città, e naturalmente destavano sospetti. Anche se avevo vissuto a Henbane per tutta la vita – ero nata nella casa ricoperta di assicelle di legno che mio nonno Dane aveva costruito a meno di un miglio dal fiume North Fork –, nessuno poteva dimenticare che mia madre era una straniera, che veniva da qualche altra parte, anche se quel posto era soltanto l’Iowa. Alcuni non pensavano fosse possibile che i campi di grano e i cumuli di neve del nord avessero prodotto una creatura misteriosa come lei, quindi avevano creato sulla sua origine miti che coinvolgevano zingari e lupi. Da bambina non sapevo se quelle storie fossero vere, e avevo studiato le sue fotografie, cercando conforme alle loro affermazioni. I suoi lunghi capelli neri erano la riprova del sangue zingaro? Aveva preso gli occhi verde ghiaccio da un lupo? Dovevo ammettere che c’era un accenno di qualcosa di esotico nella pelle olivastra, nella pienezza della bocca, nell’ampiezza dei suoi occhi. Avevo letto da qualche parte che la bellezza poteva essere misurata con mezzi scientifici, calcolata in simmetrie e distanze, proporzioni e angolazioni delle ossa. Di certo mia madre era bellissima, ma la bellezza da sola non poteva spiegare l’effetto che aveva avuto sulla nostra piccola città. C’era qualcosa di più, radicato, intangibile, che le immagini non riuscivano a cogliere del tutto.

In parte era perché non la conoscevano, aveva detto papà. Era venuta a lavorare per mio zio e la gente non capiva perché lui avesse assunto una straniera. Non aveva famiglia, non voleva parlare del suo passato. Agli occhi della città, una donna senza parenti doveva essere stata cacciata via da qualche parte, e di sicuro non senza motivo. Si era sparsa la voce che fosse una strega. La gente raccontava ancora la storia di mia madre che trasformava Joe Bill Sump in un serpente. Dicevano che emanava un profumo che ti avrebbe sedotto se ti fossi avvicinato troppo. Che i suoi occhi avevano le pupille rettangolari di una capra. Alcuni avevano persino detto che la sua tomba era stata aperta, rivelando solo un uccello. Nessuna di quelle cose era vera. Non aveva una tomba perché non avevamo un corpo. La maggior parte dei parenti di papà aveva preso le distanze, ci trattava come estranei, come se fossimo stati contaminati a causa sua. Ma non mi importava del discorso della stregoneria, per quanto ridicolo fosse. Tanto meglio se le persone erano diffidenti e mi lasciavano in pace. Preferivo sentirli sussurrare l’unica verità indiscussa: che quando ero piccola, mia madre era entrata nel labirinto calcareo nero come l’inchiostro di Old Scratch Cavern con la pistola derringer di mio padre e non era più tornata. Prima della morte di Cheri, la sua scomparsa era stata il più grande mistero della città.

 

Vi ricordiamo che il romanzo sarà disponibile in tutte le librerie e online.

Di seguito i link di alcuni store in cui potete trovare l’ebook

 

Sito

Amazon

Kobo

Google

 

Condividi questo post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *