Anteprima gratis – Deadwood – Christina Zaers
Vogliamo condividere con voi un estratto della nostra prossima uscita!
Di seguito potete leggere gratuitamente un estratto del thriller “Deadwood” di Christina Zaers.
Buona lettura!
PROLOGO
Quando aprì gli occhi, la donna pensò per un attimo che fosse stato solo un brutto sogno. Sì, doveva essersi immaginata ogni cosa, non poteva essere altrimenti. D’altronde era sdraiata sul suo letto.
Ma poi il ricordo di quanto accaduto la investì con prepotenza, piombandole addosso con la furia di una tormenta in pieno inverno.
Quello non era affatto un maledetto sogno, era la realtà.
Provò a muoversi, ma non ci riuscì. Era inchiodata al letto, gli arti distesi in fuori nella grottesca rappresentazione di una croce, i polsi e le caviglie legati. Nella penombra in cui era immersa la stanza, il silenzio che la circondava era assordante quanto i clacson di mille auto. Era da sola, ma non lo sarebbe rimasta a lungo, ne era certa.
Lui sarebbe tornato, presto o tardi.
Tese le orecchie in ascolto, il cuore che le ruggiva nel petto. Stava impazzendo per il dolore alla testa. Lui l’aveva colpita appena gli aveva voltato le spalle per lavare i bicchieri. E dire che le era sembrato una persona così innocua, così cordiale… Le aveva addirittura offerto una bottiglia di vino.
Qualcosa le gocciolò nell’occhio dandole fastidio, ancora e ancora. Cercò di ignorarlo. Erano le gocce del suo stesso sangue che le cadevano sul viso e sulle lenzuola.
Una massa di pensieri le si aggrovigliò nella testa. Pensava a come liberarsi, a cosa diavolo volesse quell’uomo da lei, alla sua stessa vita… Se avesse urlato, forse qualcuno sarebbe arrivato in suo soccorso. Ma abitava da sola, in una piccola casetta diroccata in periferia. Strattonò le corde. Non ebbe successo. Poi il dolore martellante nella testa quasi la annientò.
Concentrò tutte le forze nelle braccia e provò di nuovo a liberarsi, tirando con più energia. Di nuovo dolore, fitte lancinanti. Rabbrividì. E nulla cambiò. Le corde sfregavano sulla sua pelle, gocce di sudore che si mescolavano a quelle di sangue sulla fronte.
Si sentiva svenire. Urlò, un grido che squarciò il silenzio e l’oscurità. Chiudo gli occhi, pensò, li chiudo solo per un attimo e magari, quando li riaprirò, tutto questo sarà finito.
Gridò ancora e la coscienza l’abbandonò.
Quando sollevò di nuovo le palpebre, Lui era lì. Se ne stava in piedi accanto al letto, con in mano alcuni vestiti e un paio di scarpe, un ghigno agghiacciante sul viso.
«Bentornata,» esclamò. Sembrava felice, come se avesse rivisto un amico dopo tanto tempo. «Mi sono permesso di ficcanasare dentro il tuo armadio per trovare qualcosa di adatto per l’occasione. Questo mi sembra che faccia proprio al caso nostro, non credi?»
«Mi lasci andare!» proferì lei con voce strozzata. «La prego, mi liberi. La prego!» Lottava contro le lacrime, contro il dolore. Contro la morte della speranza e della vita stessa.
Ma Lui non sembrò nemmeno udirla. Invece, si guardò attorno con aria disgustata. «C’è un tale disordine, qui.» Riportò gli occhi su di lei. Di nuovo quel ghigno gelido e sprezzante. «Ma non temere. Dopo che sarai partita, ci penserò io a sistemare questo posto. Dopo diventerà un vero gioiello!»
La donna lo guardò confusa, la vista che iniziava ad annebbiarsi. «Partire? Per dove?»
Lui sorrise. «Sta arrivando la cometa, tesoro.»
Quell’uomo era un vero pazzo. Tremò di nuovo, la disperazione che le squarciava il petto, il male insopportabile, le fitte che le trapassavano la testa.
Poi lui prese un sacchetto di plastica bianco e le si avvicinò. «La tua unica speranza di salvarti è quella di morire.»
E mentre lei emetteva un ultimo, disperato urlo, le infilò il sacchetto sulla testa.
Lui la osservò farsi pian piano cianotica, assistette al restringersi delle pupille, alle sue convulsioni disperate, fino a quando la donna non perse totalmente coscienza e il suo corpo rimase immobile, privo di vita.
1.
Novembre 2014
Franz Kafka paragonò le prime giornate trascorse da un europeo a New York alla nascita di un uomo. Ma quali parole avrebbe usato per descrivere ciò che provava un newyorkese la prima volta che davanti ai suoi occhi si paravano le Grandi Pianure?
«Noia, noia e ancora tantissima noia.»
Rory Mitchell sbuffò e reclinò la testa sullo scomodo sedile della classe economy. Era in volo solo da poche ore, eppure gli sembrava di aver attraversato gli Stati Uniti in lungo e in largo qualcosa come due o tre volte di fila. Sotto di sé, aveva visto scorrere il fiume Missouri, placido nei suoi argini, aveva ammirato in silenzio le cuspidi e i canyon delle Badlands erosi da un’infinità di anni di vento e pioggia. Infine, quando il velivolo aveva iniziato la sua discesa, il mare delle pianure aveva d’improvviso dato spazio a un’isola costituita da basse catene montuose ricoperte da un manto di fitti pini, punteggiati di candida neve e ricamati qua e là da limpidi corsi d’acqua.
Le Black Hills, la terra dei Sioux di Cavallo Pazzo.
«Oh, è un paesaggio stupendo, non è vero?» esclamò la vecchietta con pantaloni grigi, dolcevita nero e buffi occhiali viola seduta al di là dello stretto corridoio. In un monologo a cui Rory aveva prestato scarso interesse, gli aveva detto che stava andando a trovare i suoi nipoti in South Dakota.
Le offrì un sorriso tirato. «Bellissimo.»
Non credo ci sia posto al mondo che odio di più, pensò invece.
Era partito quella mattina presto dalla Grande mela con un volo Delta per Chicago. Da lì, si era imbarcato su un Beechcraft 900, l’aereo più piccolo su cui avesse mai messo piede (niente toilette, niente personale di bordo e soltanto una quindicina di posti a sedere), in servizio shuttle per Rapid City, in South Dakota. Avevano fatto due scali prima della destinazione finale: Mason City, nell’Iowa, e Sioux Falls, in South Dakota.
La voce del capitano si insinuò pacata e gracchiante nello stretto abitacolo, avvisandoli che l’atterraggio sarebbe stato turbolento.
Non si sbagliò. All’uscita da un banco di nuvole, il piccolo aeromobile si ritrovò in un vuoto d’aria che fece sobbalzare il manipolo di passeggeri sui loro posti a sedere. Rory si aggrappò con forza ai braccioli. Diavolo, odiava volare. Il Beechcraft fu sballottato ancora un po’ a destra e sinistra, ma alla fine atterrò sulla pista di Rapid City.
Rory svuotò i polmoni. «Cazzo,» imprecò a denti stretti mentre si passava una mano tra i capelli neri, sistemandoseli poi dietro le orecchie.
La vecchietta che andava a trovare i nipoti si slacciò la cintura e gli sorrise. «Buona permanenza nel South Dakota, giovanotto.»
Rory si sforzò di non risponderle in malo modo. La sua permanenza sarebbe stata tutt’altro che piacevole: era lì per seppellire l’uomo che lo aveva generato e poi gli aveva voltato le spalle.
Il volo da Chicago era l’unico atterrato a Rapid City.
Rory prese i suoi bagagli dal minuscolo nastro trasportatore e si avviò verso l’uscita del terminal altrettanto piccolo. Fuori, i suoi compagni di viaggio svanirono nel giro di pochi minuti e lui si ritrovò ben presto da solo, su un marciapiede lungo cinque metri, a fissare i cumuli di soffice neve che costeggiavano la strada, con sferzate di nevischio vorticante che gli ferivano gli occhi. Imprecò e si strofinò le mani, soffiandoci sopra. Si maledisse per aver lasciato il berretto e la sciarpa nella valigia da stiva ma, diamine, mica faceva così freddo a New York.
Quando capì che il suo passaggio non si sarebbe fatto vedere tanto presto, girò sui tacchi e rientrò nel terminal. A eccezione di due hostess di terra dietro un bancone, il posto era deserto e silenzioso.
Si sedette su una delle poltroncine nell’area di attesa lillipuziana e prese il cellulare. Grazie al cielo aveva salvato in memoria quel numero. Rispose una voce femminile.
«Dipartimento dello sceriffo di Deadwood, come posso aiutarla?»
«Salve. Sono Rory Mitchell. Sono qui all’aeroporto di Rapid City e… il vicesceriffo Marciani doveva venirmi a prendere, ma non c’è.»
La voce all’altro capo della comunicazione parve addolorata quando disse: «È lo sceriffo ora…»
Ah. Ovvio, date le circostanze.
La donna riprese. «Le mie più sincere condoglianze, signor Mitchell. Volevamo tutti molto bene a suo padre. È sempre stato un piacere lavorare con lui. Ci mancherà.»
«Grazie,» rispose asciutto. A lui non sarebbe mancato, invece. Come si poteva sentire la mancanza di qualcuno che non c’era mai stato?
«Lo sceriffo Marciani è partito un’ora fa,» riprese la centralinista, «ma la nevicata ha messo in ginocchio la rete stradale. Probabilmente è per questo che è in ritardo.»
«Ho capito. Grazie, aspetterò,» esclamò, proprio mentre un jingle annunciava che aveva ricevuto un messaggio.
Interruppe la chiamata e controllò gli SMS: ne aveva ricevuti diversi. Uno era di Bernard, il suo socio, che gli chiedeva se fosse già atterrato nella terra di Balla coi lupi e se avesse già incontrato “Mister Sbirro Mi-stai-sul-cazzo Marciani”. Sogghignò. Gli altri, ben cinque, erano di Jeff, il suo ragazzo. Beh, ormai ex ragazzo. Tecnicamente erano in pausa di riflessione, ma per Rory quella pausa poteva anche durare tutta la vita. Scorse rapidamente i messaggi di Jeff. Gli chiedeva come stava, com’era andato il volo, se aveva dormito, mangiato, che poteva tornare indietro quando voleva e che lo avrebbe accolto a braccia aperte… eccetera eccetera. Amen. In un attimo, tutta quell’attenzione malsana lo soffocò. Come se non fosse già abbastanza in lotta con ben altro.
Sollevò gli occhi e, al di là delle porte a vetri, vide affiancarsi al marciapiede un pick-up Dodge. Il veicolo si fermò e ne scese un uomo dal fisico massiccio che vestiva un giaccone marrone e un cappello a tesa larga di una tonalità più chiara dello stesso colore. Notò la stella lucente appuntata a un lato della giacca.
Si alzò e fece un grosso sospiro. «È lui,» disse a denti stretti.
Le porte scorrevoli si aprirono e Paul Marciani entrò nel terminal dell’aeroporto portando con sé uno sbuffo di aria gelida.
«Rory,» esordì l’uomo avanzando con la mano tesa. «Perdoni il ritardo, ma la neve ha creato parecchi disagi.»
«Salve. Il suo sesto senso da sbirro le ha detto che ero io dalle valigie o perché qui non c’è anima viva a parte me?» chiese stringendogli la mano, nel tentativo poco sentito di fare dello spirito.
La presa di Marciani era decisa. «Nessuna delle due. Suo padre mi aveva mostrato delle foto.»
Si prese un attimo per osservare la figura dell’uomo che aveva di fronte. Alto, spalle larghe, gli occhi grigi e schietti. Non bellissimo, ma che di sicuro non passava inosservato. Da quel che ricordava dalle e-mail di suo padre, doveva avere cinque o sei anni in più di lui.
«Comunque non c’è problema per il ritardo, sceriffo Marciani.»
«Chiamami pure Paul.»
«E tu Rory.»
L’altro indicò con un cenno del mento le due valigie alle spalle di Rory. «Tutte tue?»
«Già.»
«Avevo capito che ti fermavi solo qualche giorno.»
Fece spallucce. «Non si sa mai cosa può succedere quando vai in un posto nuovo. Meglio essere preparati per ogni evenienza.» Ma dentro di sé si maledisse per quel cappello e quella sciarpa lasciati nel trolley.
«Va bene, allora andiamo. Vuoi una mano?»
Rory si stampò un altro sorriso di cortesia sul viso. «Grazie, ma no grazie.» Mica era una damigella bisognosa di aiuto, e che cazzo.
Misero i bagagli di Rory nel cassone del pick-up, Marciani li coprì con della tela cerata, poi salirono a bordo. Mezzo minuto dopo il Dodge si staccava dal marciapiede.
«Ti ringrazio per essere venuto a prendermi. Immagino fossi in servizio,» disse Rory, lo sguardo accuratamente rivolto fuori dal finestrino per evitare di guardare troppo in faccia l’altro uomo.
«Non c’è problema. Non avevo molto da fare. Deadwood è una cittadina troppo tranquilla, a differenza di due secoli fa.»
Rory avvicinò le mani alle bocchette del riscaldamento. «Fa assai freddo per essere solo l’inizio di novembre,» commentò. «O questo clima è normale da voi?»
Lo sceriffo mise la freccia e svoltò a destra. «L’inverno è arrivato prima del solito e, dai retta a me, che sono nato e cresciuto su queste colline, promette di essere più rigido di quelli scorsi!» disse. «Ma mi hanno detto che il freddo non scherza neanche dalle tue parti.»
«Già, però la pulizia delle strade è più efficiente.»
«Qui non siamo a New York. Questa è la terra dei Sioux, la regione delle Grandi Praterie, il Selvaggio Ovest. Niente comfort, niente caos, niente traffico. Solo natura e silenzio.»
E niente civiltà, pensò, ma disse invece: «E freddo.»
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