Anteprima gratis – Corella – L’ombra del Borgia – Federica Soprani

Cover del libro Corella l'ombra dei Borgia dell'autrice Federica Soprani, casa editrice Nua Edizioni

Anteprima gratis – Corella – L’ombra del Borgia – Federica Soprani

Buongiorno!

Vogliamo condividere con voi un estratto del romanzo in uscita “Corella – L’ombra del Borgia” di Federica Soprani. Un affascinante romanzo storico che narra l’epoca dei Borgia puntando la sua attenzione su Michele Corella, colui che la storia ricorda come il fedele sicario di Cesare.

Buona lettura!

 

Prologo

Luglio, 1505

 

Le pareti della cella stillavano un’umidità antica che precipitava in gocce fredde sul pavimento. Acqua sporca, gravida di ogni sozzura accumulata ai piani superiori, che laggiù si raccoglieva in pozzanghere maleodoranti, incapace di cadere più in basso.

Il prigioniero non sembrava preoccuparsene, seduto con la schiena poggiata alla parete, le gambe raccolte al petto. Una postura dettata non tanto dal timore, quanto dal desiderio di non mancare di rispetto con la propria nudità all’ospite immobile davanti a lui, nella penombra. In quella posizione la luce fumosa della torcia rivelava tutta la devastazione operata dalle mani dei carcerieri sulle sue membra, ma ciò che il pudore suggeriva di celare veniva nascosto. Una cortesia che in altre circostanze il visitatore si sarebbe sforzato di apprezzare.

«Che cosa vi hanno fatto, povero Michele?» Quest’ultimo attese che la guardia si fosse allontanata per rivolgerglisi. Il silenzio gravava nella cella, pesante quanto le infinite tonnellate di pietra sopra le loro teste.

 

Si udì un suono tintinnante, catene che sfregavano sulla roccia, mentre l’uomo raggomitolato sollevava una mano a liberare il volto dalla massa arruffata dei capelli luridi.

«Nulla di diverso da ciò che io feci a molti, Niccolò. Il vostro caro Dante avrebbe di che dissertare a lungo.»

In una situazione diversa Niccolò Machiavelli, segretario della Seconda Cancelleria della Repubblica fiorentina, avrebbe risposto con un sorriso arguto a quel riferimento letterario. Ma nemmeno la sua abituale ironia riusciva a venirgli in soccorso mentre contemplava, con malcelata pietà, ciò che restava del suo amico di un tempo.

La sua stessa voce sembrava infranta, come lo era il suo corpo, uno strumento imperfetto, stonato, una campana crepata. Tuttavia Niccolò riconosceva in essa ancora i toni e gli accenti delle brillanti disquisizioni che un tempo li aveva visti confrontarsi sulle logge vaticane velate dalla porpora del tramonto.

«Sono qui per aiutarvi, Michele.» La sua sollecitudine sembrava genuina. «Vi fiderete di me?»

«Quanto di me stesso.» L’uomo nell’ombra sospirò. «Ma sapete quanto poco significhi.»

«Non dite così,» lo rimproverò l’altro. «Siete un uomo d’onore, lo siete sempre stato. Perfino ora, che tutto è caduto…»

«No.» Un nuovo suono di catene, come a imporre il silenzio. «Non ditelo. Vi prego. Non dite che è finita.» Non una preghiera, né una supplica, in quella voce disabituata all’una e all’altra.

«Sta bene, non lo dirò.» Il visitatore si corresse, trattenendo un sospiro. «Mi hanno detto che non avete rivelato nulla di quanto vi hanno chiesto, nemmeno sotto tortura.»

L’ammirazione risuonò palese nelle sue parole, suscitando un inaspettato moto di allegria nel suo interlocutore. Le spalle curve sussultarono appena, colte dal riso subito soffocato, perché con esso giunse il dolore lancinante.

«Non è colpa mia se quei caproni non capiscono il catalano!»

 

Niccolò poteva quasi indovinare le labbra, un tempo piene e generose, spaccarsi tentando un sorriso.

«Non ditemi che vi hanno mandato nella speranza di farmi parlare!»

«Come ho detto, vi chiedo di avere fiducia in me. Io conosco abbastanza voi per sapere che non cedereste mai, e voi conoscete abbastanza me per sapere che non avrei mai promesso loro ciò che sapevo di non poter ottenere. Tuttavia…» Machiavelli esitò, lieto che il prigioniero non potesse vederlo in volto, «credo dovreste pensare a voi, Michele. Per una volta. Non vi chiedo di dimenticare, non vi chiedo di tradire Cesare. Ma se vi dicessi che non farebbe più alcuna differenza? Se vi dicessi che ora tutto ciò che vi resta è la vostra vita?»

«La mia vita, dite? A quale vita vi riferite? A quella del sicario Micheletto, a quella dell’umanista Michele Corella, o ancora a quella del giovane Miguel de Corella? Gli uomini si lamentano della brevità della propria esistenza, ma in poche decine di anni possono susseguirsi così tante storie diverse, come se un unico arco vitale fosse condiviso da più individui. È difficile da concepire, se ci pensate.»

«L’ho sempre detto, Michele Corella. Siete un filosofo mancato,» sentenziò Machiavelli, incapace di celare, questa volta, una nota divertita.

Il prigioniero sospirò stancamente nel buio.

«E voi siete un sicario mancato, messer Niccolò,» fece di rimando, reclinando il capo all’indietro. Poi continuò, percependo la sua risata sommessa: «Arrivati alla fine, siamo capaci solo di vedere cosa avremmo potuto essere. Per questo amavo Cesare, per questo l’ho seguito. Lui e io, insieme, vivevamo per l’ora e il subito, bruciavamo ogni cosa, perché sapevamo di non avere l’eternità dinnanzi. In fondo non siamo cambiati. Io non sono cambiato, Niccolò. C’è l’ora e c’è l’adesso, e adesso io sono qui con voi. Vi guardo. Vi parlo. Potrei toccarvi.»

 

«Non esistono più “ora” e “adesso” per Cesare Borgia,» lo interruppe l’altro; un affondo crudele, ma lui stesso aveva scritto quanto la crudeltà, al pari di altre virtù, fosse necessaria.

«Nessuno può salvarlo. Nemmeno voi, Michele. La sua sentenza è stata emessa con l’ultimo respiro del vecchio papa. Ma avete detto bene: c’è l’ora, e c’è l’adesso. Voi siete qui. Potete scegliere.»

«Sono stato un ragazzo prima di essere un uomo. Non è durato molto,» sussurrò il buio.

Per un attimo l’uomo pensò che il prigioniero fosse impazzito, che i lunghi mesi di oscurità e tortura avessero infine spezzato la sua mente. Ma Corella continuò.

«Ricordo poco dei primi anni in Spagna. L’odore della terra spaccata dal sole, aranci e limoni che marcivano nel frutteto, il cielo dilaniato dalla luce abbacinante. La nostra casa era rossa, con un giardino piccolo, ma rigoglioso e verde. Archi di pietra coperti di gelsomini e rose che di notte riempivano l’aria di un profumo così dolce da far tremare l’anima. Tutt’intorno terra arida e brulla, che rendeva ancora più preziosa quell’oasi cinta da mura bianche.»

Machiavelli si pose in ascolto, poiché era uomo di lettere e di storie, sempre disposto a udirne di nuove. Da quelle labbra sapeva di potersene aspettare di meravigliose, perfino in quella situazione disperata. In un istante, le pareti opprimenti e il tanfo nauseabondo si dissolsero, spazzati via dalla potenza evocatrice del verbo. L’aria s’impregnò di quelle fragranze lontane.

«Piansi quando lasciammo quella casa per scendere in Italia. Non volevo dire addio al giardino dove ero cresciuto. Così mia madre portò con sé una pianta di rosa e una di gelsomino, per non privarmi del mio luogo segreto. L’Italia si rivelò l’inizio della fine, la tomba della mia infanzia.»

Il silenzio tornò a definire i contorni della cella, il buio a dipingerne lo squallore.

«E crebbero, nella vostra nuova terra, quella rosa e quel gelsomino?» La voce del segretario esprimeva un sincero interesse riguardo alla sorte dei due arbusti.

Corella dovette sorridere nel buio, con uno di quei sorrisi che parevano deformargli il volto in un’espressione che non gli apparteneva.

 

«Crebbero, sì. Su un piccolo terrazzo che guardava il mare. Ma non era sufficiente per farci sentire a casa. Eravamo stranieri in terra straniera. Lo vedevamo in ogni volto, in ogni sguardo, lo sentivamo in ogni parola. Quando infine la follia esplose, ne fummo travolti. La nostra casa divenne un campo di morte, nulla di sacro e inviolabile fu risparmiato. Mio padre cercò di mettere in salvo me, mia madre e le mie sorelle. Lo vidi cadere mentre mi portavano via, nella notte.»

Il silenzio rimbombava nella cella, assordante di grida lontane nel tempo, di eco scolpite nell’ombra con la stessa dolorosa intensità con cui, con ogni probabilità, lo erano nell’animo del narratore.

«Tornai in quella casa molti anni dopo.» Corella riprese a parlare, spezzando quasi con rabbia quel silenzio. «Ero un uomo, allora, e Cesare era con me. La rosa e il gelsomino c’erano ancora, erano cresciuti così tanto da invadere l’intera facciata, al secondo piano. E dire che sembravano così fragili da non sopportare di essere strappati alla loro terra.»

«Cesare Borgia.» Machiavelli approfittò di quella pausa per palesare di nuovo la propria presenza, nel caso in cui l’altro, rapito dai propri deliranti ricordi, l’avesse dimenticata. «Quando sceglieste di servirlo? E perché?»

«È strano che voi che lo avete conosciuto mi facciate questa domanda, Niccolò. A meno che non sia una delle vostre abituali provocazioni.»

Rassicurato sulle condizioni mentali del suo interlocutore, l’altro sorrise nel buio.

«Mi piacciono le storie, Michele, lo sapete bene, e non credo che vi manchi il tempo di raccontarmene una. Non ora, non qui.»

«Su questo non posso darvi torto, messer Niccolò. Mi chiedete dunque di Cesare.» Solo a pronunciare quel nome il suo tono mutò, si fece più caloroso, più dolce. E più triste.

 

«Lo conobbi a Pisa. Eravamo compagni di studi, e molto di più. La vita riusciva ancora a essere così spensierata, allora. Ogni cosa era concessa, e ciò che ci veniva proibito lo facevamo comunque. Anzi, con maggior gusto, perché infrangere le regole era la sola legge della giovinezza.»

Sospirò piano, massaggiandosi la nuca, inseguendo i ricordi che gli correvano davanti come cavalli in una pianura.

«Cesare possedeva un carisma eccezionale già allora, ma questo voi lo sapete bene. Incontrandolo si potevano avere solo due reazioni estreme: amarlo subito, e scegliere di dedicargli tutta la vita; oppure odiarlo, e decidere di fare della sua distruzione il fine ultimo della propria esistenza. Eravamo una strana accoppiata, a detta di tutti: io, che dopo la morte di mio padre ero diventato ombroso e taciturno, e che bevevo avido dalle mammelle della sapienza con tutto l’entusiasmo e l’ingordigia di un ragazzino; lui, il figlio del cardinale catalano, il più ricco tra noi, il meglio vestito. Perfino il nipote di Lorenzo il Magnifico temeva di sfigurare invitandolo alla propria tavola, perché i suoi piatti erano più belli e pregiati, le sue vesti più sontuose, il suo cavallo più veloce. Ma Cesare non amava gli sprechi di denaro. Stimava la sua ricchezza nella misura in cui essa poteva dargli potere. Non ne faceva certo sfoggio. Sapeva essere il più frugale tra noi, duro con se stesso quanto lo era con gli altri. Infaticabile in tutto: nello studio, nella discussione, nelle armi, nel sesso. Senza dubbio sapevamo divertirci un mondo insieme. E forse io lo avevo compreso fin da allora…»

Scosse il capo, la voce che andava scemando, come se all’improvviso nel suo petto non vi fosse più fiato a sufficienza per dare suono ai pensieri.

«Che cosa avevate compreso, Michele?» lo incalzò Niccolò, avido di sapere altro, timoroso perfino di respirare troppo forte e di spazzare via così, in un soffio, quella cattedrale di ricordi che si andava ergendo nel buio.

Le parole di Corella giunsero da un luogo remoto, come se le tenebre l’avessero inghiottito.

«Che per seguire lui avrei rinunciato a ogni cosa.»

 

 

Vi ricordiamo che il romanzo sarà disponibile in tutte le librerie e online.

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