Anteprima gratis – Canzoni degli innocenti – Anne Coates

Anteprima gratis – Canzoni degli innocenti – Anne Coates

Il primo capitolo della nostra prossima uscita, “Canzoni degli innocenti” di Anne Coates, in anteprima gratuita!

Buona lettura!

Aspettiamo i vostri commenti! 🙂

 

1

Peckham Rye, Londra, maggio 1994

La mattina appena sorta componeva la sua sinfonia al parco di Peckham Rye. L’abbaiare eccitato di un cane non visibile. Uccelli che intonavano il loro coro mattutino tra le cime degli alberi. Lo stormire di foglie e rami agitati dal passaggio di uno scoiattolo che saltava da un albero all’altro. Il gracchiare di un corvo. Lo scavare nel terreno di una volpe prima che marcasse il territorio con il proprio odore.

Due ragazzi si aggiravano furtivi attorno al lago che la gente del luogo chiamava lo Stagno, arrivarono a una delle estremità e saltarono la bassa recinzione con appeso il cartello “Divieto di pesca. Divieto di balneazione”. Entrambi indossavano felpe con cappuccio scure, jeans e scarpe da tennis economiche e prive di marchi alla moda. Il più piccolo dei due scivolò e atterrò scomposto vicino all’acqua.

«Merda.» Alcuni sassi che aveva smosso caddero nel lago con un sonoro tonfo.

«Shhh,» disse l’altro guardandosi intorno, ma solo le anatre e le oche canadesi li avevano sentiti e la cosa non le interessava affatto.

«Secondo te quant’è profondo, Ollie?»

L’altro ragazzo fece spallucce. «Boh.» Diede una gomitata nelle costole all’amico. «Abbastanza da sommergere te, Jace.»

Jason osservò con sospetto le acque torbide e si tirò indietro, trascinandosi sul sedere. I ragazzi disfecero i propri zaini in un silenzio amichevole.

Montarono in fretta l’attrezzatura da pesca. Ollie aprì la lattina delle esche e, con calma e sorridendo, scelse un verme prima di passare la scatoletta al suo amico lentigginoso. Si sedettero sulla sponda, parzialmente nascosti da un gruppo di cespugli abbastanza alti da farli risaltare meno. Un grosso ratto corse lungo la sponda, vicino alle canne. Jason rabbrividì. Una volta aveva visto un ratto mangiare degli avanzi marcescenti da un sacco della spazzatura bucato nelle scale del loro palazzo, e da allora odiava quelle creature.

«Pronto?»

«Pronto.»

Lanciarono le lenze insieme. Il pluf dei loro ami con le esche infilzate provocò delle piccole increspature che arruffarono le penne di una gallinella d’acqua al loro passaggio. Un’anatra mandarina dal magnifico piumaggio rosso, arancione, bianco e blu appollaiata su un ramo a pelo dell’acqua sollevò il capo nonostante sembrasse per nulla interessata ai ragazzi.

Regnava la pace. Jason sentì le palpebre farsi pesanti, le sue lunghe ciglia gli accarezzavano le guance. Ollie gli diede una spinta. «Non addormentarti, cazzone.»

«Non sto dormendo.» Jason si pulì il naso con la manica della felpa e tirò su.

Ollie, che già sbocconcellava un panino, gliene passò un altro preso da un sacchetto di pane a fette che aveva nello zaino. Cioccolata spalmabile. Il suo preferito. «Adoro questo posto. È come la campagna dove vive mia nonna.»

Jason annuì nonostante non fosse mai andato da nessuna parte, in realtà. Non era mai stato in un posto tanto esotico ed eccitante come immaginava essere la campagna. Il suo intero mondo era costituito dagli alloggi popolari dove viveva con sua madre, al diciassettesimo piano, e dalla scuola. Entrambi erano posti duri e spaventosi. Era andato al parco solo perché Ollie lo aveva invitato.

«Dov’è che vive tua nonna?»

«Ad Harlow. Ci sono un campo e un torrente, in fondo al suo giardino. Amo stare lì. Lo amo.» Ollie finì il suo panino e lanciò le croste ai piccioni in paziente attesa lì vicino.

All’improvviso la lenza di Jason si tese. «Mi sa che ho preso qualcosa.»

Ollie l’aiutò a riavvolgere la lenza. Un pesciolino che entrambi non riuscirono a identificare si dimenava appeso all’amo. I due ragazzi erano troppo emozionati per accorgersi che avevano disturbato qualcos’altro, che ora galleggiava in superficie. Una folaga si alzò in un turbinio d’ali e sembrò gridare ai ragazzi, i quali alzarono lo sguardo dal loro lavoro per posarlo su una faccia che li fissava dall’acqua. Poi emerse una mano che sembrava indicare proprio loro, e i due pescatori, terrorizzati, urlarono con tutte le loro forze.

 

Jason e Ollie erano seduti a qualche centimetro di distanza, le gambe penzoloni, sul retro del furgone del custode del parco. Il giardiniere era stato avvisato, assieme alla polizia, da un uomo e una donna che portavano a spasso i cani dall’altro lato dello Stagno. Avevano sentito l’urlo dei ragazzi ed erano corsi da loro, allontanandoli dalla macabra scoperta. La donna e il suo cane si erano spostati per chiamare chi di dovere. L’uomo dal volto terreo era invece seduto su una panchina, accarezzava distrattamente la testa che il cane gli aveva messo in grembo per confortarlo. I suoi pantaloni erano bagnati dal ginocchio in giù, perché aveva trascinato il cadavere fuori dallo stagno. Nel caso remoto in cui fosse… ma non c’erano stati dubbi. La ragazza era morta.

Nessuno disse una parola quando arrivò il sergente Benton. I ragazzi sembravano così giovani e vulnerabili, pensò, ma quei due stavano pescando illegalmente. Il sergente Benton scosse il capo cancellando il sorriso dalla propria faccia. Si rivedeva in loro da giovane. Era cresciuto in una zona simile nel sud di Londra e non si era fatto troppi problemi nell’infrangere le regole. Ma per fortuna non aveva mai ritrovato un cadavere come loro. Quello gli era successo dopo. Molto dopo.

I poliziotti avevano delimitato l’area facendo un lavoro coi fiocchi, e la maggior parte degli habitué che portavano a spasso il cane lanciavano al lago un’occhiata sbrigativa, tenendosi a distanza e cercando di proseguire la propria mattina. In pochi erano rimasti a cercare di capire il perché di tanta agitazione.

Tentando di essere più rassicurante, il sergente Benton si abbassò sulle ginocchia in modo che i ragazzi lo guardassero dall’alto in basso. Il più giovane piagnucolava. Le sue lentiggini risaltavano sul volto estremamente pallido. Gli occhi cerchiati di rosso dell’altro ragazzo smentivano l’indifferenza nella sua espressione.

«Allora, Jason e Ollie.» I poliziotti gli avevano comunicato i loro nomi. «Faremo meglio a portarvi a casa, non credete?»

Jason si passò la mano sul viso. «Mamma mi ammazza.»

Ollie gli lanciò un’occhiata, intimandogli chiaramente di tacere.

«Non ti preoccupare, non finirete nei guai.» Benton sorrise, sperò in modo rassicurante.

Le espressioni dei ragazzi tradivano la loro diffidenza verso tutti gli adulti e verso la polizia in particolare. Diffidare della polizia era parte integrante del crescere in quel quartiere.

«È stato uno shock terribile per voi, lo so.» Tacque, cercando le parole giuste. «Ma probabilmente avete risparmiato tanto dolore a un’altra famiglia. Ora potranno piangere la propria figlia, non dovranno più chiedersi dove sia finita.»

I ragazzi annuirono, non capendo dove diavolo volesse andare a parare il detective.

«Sapete chi è?» chiese Ollie.

«Non ancora, ragazzo, non ancora. Ma lo scopriremo, molto presto.»

«Lo Stagno è molto profondo?» Jason rabbrividì ricordando di esserci quasi caduto dentro.

«Quanto basta.» Fece un cenno a due donne in attesa lì vicino. «Queste signore vi riaccompagneranno a casa e spiegheranno ai vostri genitori che non siete nei guai, ma che dovrete venire in stazione a testimoniare. Ok?» I ragazzi annuirono di nuovo e scesero dal furgone. «Una cosa.» I ragazzi alzarono lo sguardo, pronti al peggio. «Basta pescare nel lago, chiaro?»

«Sì, signore,» risposero in coro.

«E se volete parlare di qualsiasi cosa, le signore daranno un numero ai vostri genitori.» Benton li osservò allontanarsi, pensando che per un bel po’ non avrebbero più pensato alla pesca, con o senza permesso. Andò a parlare con l’uomo sulla panchina.

 

In contrasto con la macabra scoperta nel lago, i raggi del sole sbucavano dalle cime degli alberi promettendo un caldo e allettante pomeriggio. Benton era rimasto accanto al corpo mentre il fotografo si muoveva intorno a loro, fotografando il cadavere da ogni angolo. Un viso bello, appena gonfiato dal tempo passato in acqua, con una linea sottile di schiuma bianca attorno alla bocca.

Quale sciagura l’aveva spinta a tanto? Benton non era una persona introspettiva, di solito, ma la vista del cadavere della ragazza l’aveva commosso. Qualche povero genitore sarebbe finito con il cuore spezzato, quel giorno. Sperava di non essere lui quello che avrebbe dovuto informarli, chiunque essi fossero. Ma sapeva che quasi certamente sarebbe toccato a lui. E, nonostante il tempo, quel compito non era diventato più facile.

C’era poco altro da fare. Infilandosi le mani nelle tasche, guardò l’altra riva del lago e notò una sagoma familiare spingere un passeggino e la raggiunse.

«Bene, bene, miss Hannah Weybridge. A cosa dobbiamo l’onore della sua illustre presenza? Un annegamento a Peckham non è esattamente una notizia di interesse nazionale, non crede?»

«Anche per me è un piacere vederla, sergente.» Hannah lanciò un’occhiataccia all’uomo che le aveva complicato la vita quando aveva trovato il corpo di Liz Rayman appena qualche mese prima. Lui si era preso il disturbo di essere il più scortese e odioso possibile durante le indagini sull’omicidio della sua amica. L’ispettrice Claudia Turner aveva persino dovuto riprenderlo in un paio di occasioni. Ma non l’aveva mai giustificato. L’ispettrice non permetteva alle faccende personali di incidere sulla sua professionalità e non si aspettava nemmeno che la sua squadra facesse altrettanto, come avevano scoperto Hannah e il sergente.

Tuttavia, Hannah, una volta ingoiata l’irritazione verso l’uomo che aveva interrotto la passeggiata con sua figlia, notò un cambiamento marcato in Mike Benton. Sembrava più giovane, in effetti. Aveva tagliato e acconciato i capelli. Aveva vestiti puliti che gli stavano meglio. E le rughette causate dal sorriso che lei aveva già notato prima sembravano essere più profonde, come se si fossero formate più frequentemente.

«Mi sembra in forma. Molto di più dell’ultima volta che l’ho vista.»

Benton scrutò il cielo, riparandosi gli occhi con la mano. «Le cose cambiano. Migliorano.» Fissò un punto dall’altra parte del lago. «Ma non per quella ragazza. Sembra che si sia ammazzata.»

Quel modo casuale di parlare di una vita spezzata fece arrabbiare Hannah, ma aveva imparato a non mostrare le sue emozioni. Soprattutto davanti a quelli come Benton. Spostò lo sguardo sulla tenda eretta in lontananza. Si era stupita vedendo il parcheggio riempito di macchine della polizia. Una camminata nel sole primaverile con Elizabeth era un piacere raro. Uno di cui non voleva essere privata.

La bambina cercava di uscire dal passeggino. «Anatre!» gridò, poi si girò e investì Benton con tutta la forza del proprio sorriso. «Elizabeth dà la pappa alle anatre.»

Con grande sorpresa di Hannah, lui piegò le ginocchia a fianco del passeggino, abbassandosi al livello di Elizabeth. «Oggi no, piccola.» Elizabeth sembrava pronta a ribellarsi. «Ma puoi andare sulle altalene laggiù.» Indicò l’area giochi.

Elizabeth rifletté per qualche istante e poi si girò verso la madre con un’espressione ancora più felice. «Altalene, mamma.»

Hannah fu riconoscente per la distrazione. «La lascio al suo lavoro, sergente. Come può vedere, oggi non sono in servizio. Suppongo che la stampa locale richiederà presto la sua attenzione.»

Girò il passeggino verso l’area giochi.

«Sono contenta che le cose le vadano meglio.» Ed era sincera. Ma non riusciva a smettere di pensare al corpo trovato nel lago. Solitamente, la preoccupazione maggiore del custode erano le tartarughe d’acqua dolce che avevano colonizzato lo Stagno dopo essere state abbandonate là da qualche padrone che si era stancato di loro.

 

Durante il percorso fino all’area giochi, con Elizabeth che trottava al suo fianco fermandosi ogni due minuti per ispezionare un sasso, un insetto o un filo d’erba che avevano attirato la sua attenzione, Hannah era riuscita a scacciare ogni pensiero riguardante il corpo nel lago. Continuava però a chiedersi cosa avesse provocato la trasformazione del sergente Benton.

Elizabeth giocava sulle altalene e sullo scivolo gridando di gioia, soprattutto dopo aver trovato un piccolo compagno di giochi che la inseguiva e giocava con lei a nascondino nella casetta giocattolo. Hannah sorrise all’altra madre che, immaginò, doveva avere almeno dieci anni meno di lei. Questa ricambiò il sorriso ma sembrava annoiarsi e si allontanò, sedendosi su un’altalena e guardando raramente il figlioletto mentre correva di qua e di là. Hannah era felice che Elizabeth si godesse la compagnia. Lasciò che i suoi pensieri tornassero allo Stagno e al sergente Benton, ma non tolse gli occhi di dosso alla figlia. Una ventina di minuti più tardi, Elizabeth fu persuasa a lasciare l’area giochi e, non appena salita sul passeggino, cadde in un sonno appagato.

Hannah la invidiava. Per lei addormentarsi non era così facile. Ogni rumore era una potenziale minaccia, ogni ombra un pericolo. Ma quel pomeriggio, durante la passeggiata nel giardino giapponese e sulla Rye, in direzione di casa, le ombre causate dal sole primaverile erano rassicuranti.

L’ultima cosa che si aspettava girando l’angolo nella sua via era di trovare una macchina della polizia parcheggiata davanti casa sua e, in piedi al suo cancelletto, l’ispettrice Claudia Turner che parlava al telefono.

 

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