Anteprima gratis – Arriva il diavolo – Linda Ladd

Cover del libro dell'autrice Linda Ladd dal titolo Arriva il diavolo della casa editrice Nua Edizioni

Anteprima gratis – Arriva il diavolo – Linda Ladd

Buongiorno!

Vogliamo condividere con voi un estratto del romanzo in uscita “Arriva il diavolo” di Linda Ladd. Un appassionante thriller psicologico ricco di suspance. Buona lettura!

 

PROLOGO

Guai in vista

Il figlio portava guai. Secondo alcune persone c’era un pizzico di malvagità nel ragazzo ma ovviamente nessuno ne faceva parola con i genitori, perché gran parte del tempo sembrava dolce e affettuoso. Di tanto in tanto però emergeva qualcosa, un che di inquietante e inspiegabile. La tragedia era inevitabile, anche se ancora nessuno alla grande riunione di famiglia lo sapeva, nemmeno il ragazzino stesso.

Qualche volta, anche se non spesso, anche il figlio stesso si scopriva a fare cose davvero orribili. Non le capiva né riusciva a spiegarsi il perché quando se ne chiedeva il motivo. Quel giorno invece stava andando bene e non stava succedendo niente di strano. In effetti, era piuttosto contento e si stava divertendo insieme ai suoi familiari. Era un’estate torrida; una vera ondata di caldo era piombata su di loro. Ovunque sventolavano bandiere americane e tutti si comportavano da veri patrioti. In cima all’asta in un angolo della loro veranda ne ondeggiava una grande in nylon e sua madre ne aveva infilato delle versioni in miniatura dentro i vasi carichi di calendule gialle e petunie rosse, e praticamente da qualsiasi altra parte. Aveva anche appeso striscioni rossi, bianchi e blu ai bordi della veranda e al tavolo da picnic in mezzo al prato erboso, e altri ancora attorno alle grondaie del capanno della piscina. Sua madre adorava i giorni di festa.

Quel pomeriggio era estremamente umido e afoso. Bastava rimanere all’aperto per qualche minuto perché il sudore cominciasse a gocciolare appiccicoso dietro il collo, e il sole bruciasse la pelle. Il cemento attorno alla piscina era rovente, ma al ragazzino non importava. Gli piaceva stare fuori, l’estate era la sua stagione preferita, e quella sera sarebbe arrivato il momento che attendeva da molto tempo. Finalmente la sua squadra avrebbe affrontato i numeri uno della lega amatoriale di baseball.

Sì, alle sette in punto lui e i suoi Bearcats si sarebbero scontrati con i Wildcats per vincere il grande trofeo del primo posto, una statuina in ottone di un giocatore alla battuta, e li avrebbero distrutti perché c’era lui al lancio, e lui era il miglior lanciatore dell’intera lega, lo dicevano tutti, persino il coach dell’altra squadra, il signor Manning. Non c’era cosa al mondo che desiderasse di più di vincere, e ci riusciva sempre, praticamente in ogni attività a cui si dedicasse. La parte migliore era che tutte le zie, gli zii e i cugini sarebbero stati seduti sugli spalti a guardare quanto era straordinaria la sua palla veloce e quanto volavano lontano i suoi fuoricampo, ben oltre la recinzione dietro l’esterno sinistro. Sì, era bravo, proprio bravo. Non vedeva l’ora di ricevere tante pacche sulla schiena mentre tutti gli dicevano quanto era speciale, come succedeva sempre dopo le partite. Perché lui era speciale. Si vedeva subito.

In quel momento però si stava divertendo a fare gare di staffetta e di tuffi in piscina. Naturalmente lui vinceva sempre, che era quello che contava. Vincere, sempre e ovunque, arrivare sempre primo ottenendo tutta la gloria. Non che fosse un pessimo perdente o niente del genere. Stringeva sempre la mano al vincitore e tutto il resto, quando capitava per caso che qualcuno lo battesse. Non gli piaceva, ma nessuno avrebbe mai saputo quanto si infuriasse dentro di sé.

Si trovava in acqua. Faceva davvero troppo caldo per uscire e rinfilarsi i pantaloni e la maglietta per la cena. Quando non praticava gli altri sport, nuotare era la sua attività preferita, e a casa stava costantemente in piscina. Era l’atleta migliore tra i suoi fratelli, le sue sorelle e i suoi cugini, e nuotava come un pesce. Suo padre lo ripeteva sempre. Gli piaceva quando il padre e la madre tessevano le sue lodi in quel modo, sottolineando le sue qualità. E capitava spesso. Era di gran lunga il loro preferito, non c’erano dubbi.

Sua madre gli diceva che era il migliore, il più sveglio e il più amato, anche più degli altri figli. Il ragazzo gioiva in quelle occasioni, perché lei aveva ragione, era ovvio che fosse così. Sia la mamma che il papà gli bisbigliavano di continuo frasi simili all’orecchio, a voce bassa per evitare che i fratelli e le sorelle li sentissero, iniziando a frignare e a ingelosirsi. La madre era particolarmente orgogliosa dei suoi voti a scuola, e quando era tornata a casa dal colloquio di fine anno con il consulente scolastico gli aveva detto che aveva ottenuto un punteggio da genio nei test del QI primaverili. Il figlio sapeva già di essere più intelligente di chiunque altro, anche di lei, ma la donna ne era rimasta davvero soddisfatta. Gli aveva detto che con una mente acuta come la sua, da grande avrebbe potuto fare e diventare tutto quello che voleva.

In ogni caso i bambini più piccoli della famiglia non erano male, soprattutto Lyla. La sorellina aveva appena quattro anni e splendidi capelli biondi molto lunghi. Le arrivavano oltre la vita e si arricciavano in boccoli folti come i suoi, brillando di un fuoco dorato alla luce del sole. Era di gran lunga la sua preferita, e di sorelle ne aveva tante. Gli piaceva passare del tempo insieme a lei e ascoltarla ridacchiare in quella sua maniera buffa. Anche gli altri fratelli erano a posto, ma non erano Lyla. Lui le voleva davvero bene, persino più di quanto gliene volessero mamma e papà, tanto che a volte quella sensazione gli si gonfiava nel petto, facendolo soffrire e riempiendogli gli occhi di lacrime. Di solito capitava quando pensava a quanto fosse dolce e all’ammirazione che provava per lui. Era il suo eroe, e ne andava fiero. Lyla gli faceva sempre dei ritratti con un mantello rosso sull’album da disegno che portava a casa dalla scuola materna, come se fosse una specie di supereroe. Aggiungeva persino le sue iniziali sul petto dell’eroe.

Ormai si stava facendo tardi, era quasi ora di mangiare. I parenti di suo padre avevano portato moltissimo buon cibo per il barbecue annuale. Fino a poco prima tutti i ragazzi erano stati in piscina, ma ora erano usciti per giocare a wiffleball con i loro padri e gli zii, e a correre in cortile insieme ai cani. La sua famiglia ne aveva tre: Cocoa, Puffs e Cheerio. Quest’ultima, una piccola beagle, aveva appena avuto sei cuccioli. La maggior parte dei bambini era in casa, nell’atrio, ad ammirare i cagnolini che zampettavano e giocavano nella scatola di cartone imbottita con la trapunta patchwork rossa e bianca che sua madre aveva preparato a mo’ di cuccia.

Anche al ragazzino piaceva guardare i cuccioli che saltellavano, ma per il momento era felice di stare da solo insieme a Lyla. Si era stancato di lanciare palle da basket nel canestro galleggiante. Lo mancava di rado, e in realtà non era una gran gara contro i suoi cugini. Ora lui e Lyla potevano stare per conto loro e tuffarsi per prendere le monetine luccicanti che il padre aveva gettato in piscina. Proprio come il figlio, anche la sorellina nuotava come un pesciolino. Glielo aveva insegnato lui stesso quando la bambina aveva appena due anni. Si era assicurato che imparasse bene, nel caso fosse mai caduta in piscina oppure le fosse venuto un crampo allo stomaco quando non le era vicino per salvarla.

«Dai, Lyla, andiamo nella parte profonda. Io ti tengo sollevata così non ti va sotto la testa.»

Lyla si stava tenendo stretta al primo gradino della scaletta nella parte bassa, e si lanciò per raggiungerlo nuotando a cagnolino. Era davvero una brava bambina per essere tanto piccola. Rideva sempre in un modo divertente. Anche in quel momento, mentre lo raggiungeva e lo afferrava al collo con tanta forza da rischiare di soffocarlo. Ma lui rise, godendosi la sensazione delle sue braccia cicciottelle attorno a sé. Se la spostò sulla schiena e avanzò nell’acqua profonda nuotando a rana alla perfezione. Aveva preso il suo certificato di giovane guardaspiaggia e sapeva eseguire correttamente tutti gli stili. Era stato il più giovane membro della sua classe di Red Cross Lifeguard e il miglior nuotatore con i voti più alti. Quando raggiunse la grossa corda bianca attorcigliata che divideva la parte meno profonda dall’acqua alta, l’afferrò con entrambe le mani e scrutò in mezzo ai fitti cespugli di rose rosse per controllare che gli adulti non li stessero guardando.

Suo padre era impegnato a cuocere hamburger e hot dog giganti al formaggio sul suo nuovo e moderno barbecue, un affare verde a forma di uovo. La mamma gliel’aveva comprato in un negozio speciale per il suo compleanno, e lui adorava usarlo. Il papà aveva sei fratelli, e ognuno di loro aveva un sacco di figli, quindi c’era una gran folla in giro per il cortile. Gli zii gli stavano tutti intorno, bevendo birra e ascoltando le sue spiegazioni sulle funzioni del nuovo barbecue. Lui indossava un grande cappello bianco da chef e un grembiule che diceva EMERIL, MANGIATI IL FEGATO. In ogni caso nessuno degli adulti li stava guardando nuotare in piscina, e il figlio se ne rallegrò perché ai suoi genitori non piaceva che portasse Lyla nella parte profonda. Ma lei lo adorava, era il loro gioco segreto e lui stava sempre super attento a tenerla ben stretta.

Dopo aver sollevato la corda sopra le loro teste, galleggiando per tenere il viso fuori dall’acqua, strinse le dita di Lyla attorno alla fune e si accertò che la bambina fosse ben aggrappata. «Okay, ci siamo. Stringi forte, Lyla, hai capito? Molto forte, sul serio. Sai come si fa. Non lasciarla andare per nessun motivo, okay?»

«Voglio tuffarmi per prendere le monetine!» esclamò la bambina, e poi fece quel sorrisone che tutti amavano tanto. Era la creaturina più dolce del mondo. Aveva enormi occhi blu, proprio come il colore del cielo sopra di loro, ma le sue ciglia erano davvero scure e lunghe nonostante il biondo dei suoi capelli, che era piuttosto strano. Lui l’amava, le voleva davvero bene. Più di qualsiasi altra cosa, persino di alcuni dei suoi trofei più piccoli. Da bagnati i suoi capelli sembravano più scuri e le galleggiavano sull’acqua attorno alle spalle come un mantello lucido e brillante.

«Okay, Lyla, io vado giù per primo. Vedi tutte quelle monete sparse laggiù? Rimani immobile così l’acqua si ferma e riesci a vedere dove sono. Papà le ha gettate questa mattina e ha detto che ci avrebbe dato un dollaro per ogni centesimo che gli riportiamo. Avremmo dovuto farlo questa sera dopo cena, ma così battiamo sul tempo gli altri bambini.»

«Voglio un dollaro, voglio un dollaro!» Lyla si stava tenendo alla corda ma strillava a voce molto alta, quindi lui lanciò di nuovo un’occhiata verso la veranda. Nessuno gli stava prestando la minima attenzione. E comunque si fidavano a lasciarlo da solo in piscina con i fratelli e le sorelle più piccoli; a volte lo chiamavano il loro piccolo bagnino personale. A lui piaceva perché lo faceva sentire adulto e importante. E ora aveva anche seguito un addestramento specifico quindi era bravo sul serio.

«Va bene, Lyla, ti porto giù con me, ma mi devi aiutare a calciare, ricordi? E se rimani senza fiato mi devi tirare i capelli così io ti riporterò su più in fretta che posso, okay?»

«Andiamo giù, fino in fondo, voglio, voglio!»

Il ragazzo rise dell’entusiasmo della sorellina, e lei reagì con il suo buffo gridolino di gioia. La bambina voleva sempre stare con lui, di continuo, ogni giorno, per tutto il tempo. E di solito a lui non dispiaceva averla intorno, tranne quando arrivavano i suoi amici e lo invitavano a scendere in strada per andare a pattinare davanti a casa di Kevin. Allora Lyla diventava una gran seccatura. Sua madre doveva prenderla e costringerla a rimanere dentro casa perché non lo seguisse, perdendosi tra i boschi lungo la via. Ma lei piangeva e faceva i capricci fino a quando il ragazzo non si allontanava.

«Allora sei pronta, Lyla? Devi trattenere il respiro per un sacco di tempo, ma se vuoi salire, ricordati di tirarmi i capelli, okay? Ma non troppo forte, va bene?»

«Okay! Andiamo giù e prendiamo i dollari. Voglio la Barbie nuova!»

Lui rise ancora. «I dollari non sono laggiù, stupidina, solo le monetine. Papà ci darà i veri dollari quando le riporteremo su.»

«Comprerò dei lecca-lecca per tutti e due. Quelli con la parte buona e gommosa al centro. Io ne prenderò uno rosso.»

«Quelli sono i Tootsie Roll Pops. Okay, pronta? Fai un respiro profondo e andiamo giù!»

Si assicurò che la bambina prendesse fiato e lo trattenesse, perché ogni tanto le capitava di dimenticarsi e iniziava a tossire, facendogli prendere un colpo. Quella volta non sbagliò e si tuffarono insieme, la sorellina aggrappata alle sue spalle. Lyla teneva gli occhi ben aperti, e il ragazzo la vedeva chiaramente attraverso gli occhialini da nuoto gialli che portava. Le monetine erano sparse per tutto il fondo, ma la maggior parte era caduta vicino allo scarico, quindi si diresse subito là. Iniziarono a raccoglierle, e lui dovette allontanare ripetutamente i capelli di Lyla perché continuavano a finirgli davanti agli occhialetti impedendogli di vedere dove fossero i centesimi. La sorella era riuscita a prenderne tre, e il figlio ne raccolse altre cinque in fretta perché stava finendo il fiato. I capelli della bambina fluttuavano verso lo scarico, e lui li tirò indietro perché la mamma gli aveva detto di stare attenti che non vi finissero impigliati.

All’improvviso gli venne un’idea. Prese la ciocca che aveva in mano e l’infilò nel bordo dello scarico. Lyla stava ancora raccogliendo le monetine, ma dopo un secondo si voltò verso di lui per strattonargli la testa. Per un istante il ragazzo rimase dov’era, poi la lasciò andare e tornò rapidamente in superficie. Arrivato in cima prese diverse boccate d’aria. Gli adulti erano assiepati attorno al tavolo da picnic e stavano portando grandi piatti carichi di cibo fuori dalla cucina. Nessuno gli stava prestando attenzione.

Allora si tuffò di nuovo e si aggrappò allo scarico per ancorarsi al fondo. Ormai Lyla stava lottando disperatamente. I suoi begli occhioni erano spalancati e sembravano davvero spaventati. Lo afferrò, strattonandogli freneticamente i capelli per segnalargli che voleva tornare in superficie, e lui resistette fino a quando gli durò il fiato, in attesa che la bambina finisse l’aria. Qualche secondo più tardi, Lyla si arrese e lo lasciò andare. Il ragazzo la guardò aprire la bocca e inghiottire l’acqua. Un mucchio di bolle le rotearono fuori dal naso e dalle labbra e lei smise di lottare. Gli annegò proprio davanti, continuando a fissarlo con quei grandi occhioni blu che sembravano tremendamente sorpresi da quello che le aveva fatto. Alla fine rimase immobile e morta. Una lunga ciocca dei suoi capelli era intrecciata allo scarico mentre il resto della bella chioma ondeggiava nelle onde smosse dai suoi frenetici tentativi di liberarsi. Poco alla volta, i suoi piedi cominciarono ad alzarsi verso l’alto e la bambina fluttuò a testa in giù. Lui pensò che sembrava bellissima e in pace mentre galleggiava in quel modo, morta e perduta per sempre.

Quando il ragazzo finì l’ossigeno, tornò in superficie per riempirsi di nuovo i polmoni. Si rituffò numerose volte per guardarla. Non sapeva il motivo ma gli piaceva. Si domandò perché avesse fatto una cosa tanto terribile. Non ne aveva idea. Le voleva bene. Le sarebbe mancata molto, ma aveva tanti altri fratelli e sorelle e cugini con cui giocare, quindi non sarebbe stato tanto male senza di lei. Però la mamma e il papà sarebbero stati davvero tristi. Lyla era stata la loro piccolina.

Oh, beh, in fondo era il loro preferito, quindi se ne sarebbero fatti una ragione, anche se lo avessero incolpato. E probabilmente non sarebbe successo. Si sarebbero dispiaciuti per lui perché aveva dovuto guardare mentre la sorellina rimaneva incastrata sul fondo e i suoi piccoli polmoni si riempivano d’acqua. In effetti, ora che era tutto finito, doveva ammettere che era stato un brutto spettacolo. Era felice che la mamma non avesse dovuto vederlo.

Una volta che si fu stancato di osservare Lyla che galleggiava a testa in giù, nuotò sott’acqua fino alla scaletta più vicina e uscì. Riusciva ancora a vederla sul fondo, e avrebbe voluto continuare ad ammirarla un altro po’ ma sapeva che non poteva più perdere tempo.

«Maammaaaa! Papaaaaaaaà! I capelli di Lyla sono finiti nello scarico! Aiuto, mamma, mamma, venite subito, subito! Non riesco a liberarla!»

Gli adulti attorno al tavolo rimasero paralizzati per un istante, poi mollarono quello che stavano facendo e corsero verso la piscina. Gli uomini si tuffarono di testa in acqua, tutti in contemporanea, e lo stesso fece sua madre. Un paio delle zie lo raggiunsero e lo strinsero forte, premendo il suo viso nelle loro magliette rosse con la bandiera americana perché non vedesse. Lui pensò che era un gesto davvero gentile da parte loro. Poi scoppiò in singhiozzi. Aveva imparato presto che poteva piangere per finta, ogni volta che voleva e con varia intensità, senza che nessuno sospettasse che non fosse sincero. Riusciva a sembrare così patetico. Si era esercitato a fare quell’espressione molte volte allo specchio. Sua madre ci cascava sempre, e anche suo padre, ma a volte il papà ci metteva di più a dispiacersi per lui.

Gli uomini in acqua continuavano a tornare in superficie per riprendere fiato e rituffarsi verso il fondo, cercando di liberare i capelli di Lyla. Le donne gridavano e piangevano, esclamando Oddio, anche quelle che cercavano di consolarlo. Alcune delle zie corsero dentro casa per evitare che gli altri bambini uscissero e vedessero l’aspetto che aveva Lyla da morta annegata. Lui continuò a piangere e a gridare, impressionando persino se stesso per la quantità di lacrime che riuscì a riversarsi sulle guance.

Ma la cosa più strana fu che all’improvviso il pianto finto si trasformò in uno reale e sincero. Perché lui voleva davvero bene a Lyla! Così tanto! Era la persona che preferiva in tutto il mondo. E ora era annegata e stesa molle e morta sul cemento dall’altro lato della piscina, mentre lo zio più giovane, un paramedico in servizio sulle ambulanze, le premeva sul piccolo petto e il papà, piangendo, le soffiava aria nella bocca. Ma era troppo tardi, decisamente troppo tardi. Era morta stecchita. Singhiozzò più forte. Gli sarebbe mancata così tanto. E ora non avrebbe più potuto lanciare contro i Wildcats quella sera! La sua famiglia non sarebbe andata alla partita a vederlo giocare. Ma perché le aveva legato i capelli allo scarico? Non era giusto!

 

Vi ricordiamo che il romanzo sarà disponibile in tutte le librerie e online.

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