Anteprima – Chi muore e chi uccide – Vincenzo Padovano
Vi lasciamo una piccola anteprima gratuita di una delle nostre prossime uscite, il thriller Chi muore e chi uccide di Vincenzo Padovano.
Parte prima:
CHI MUORE
Gennaio 2002
«Pronto, 118.»
«Aiutatemi, vi prego. È successa una cosa terribile. Dovete venire subito.»
«Signora, cerchi di calmarsi e mi descriva l’emergenza.»
«C’è una testa sul tavolo della mia cucina.»
«Una…?»
«Una testa. Qualche minuto fa non c’era. Ho accompagnato mio figlio allo scuolabus, e quando sono tornata… È piccola e tutta sporca di sangue. Oh, mio Dio! C’è sangue dappertutto.»
«Signora, mi sente?»
«Sì, la sento. Ma fate presto. Non c’è tempo da perdere. Perché ci mettete così tanto?»
«Signora, mi dica come si chiama e da dove telefona, altrimenti non posso esserle d’aiuto.»
«Oh, Gesù! Sbrigatevi, ve lo chiedo in ginocchio. Il corpo è sotto il tavolo.»
«Ha detto un corpo, signora?»
«Sì, un corpo. È piccino. È steso a terra. Gli ho detto di mettersi in piedi, ma non si muove. Dovete mandare un’ambulanza. Subito!»
«Signora, dove si trova? Almeno questo riesce a dirmelo?»
«Sono a casa, credevo fosse chiaro. Ma fate presto. Magari la testa si può ancora riattaccare.»
«C’è qualcuno lì con lei? Qualcuno che può passarmi al telefono.»
«No. Sono sola. Mio marito è uscito mezz’ora fa per andare in ufficio. Venite, vi scongiuro!»
«Signora?»
«Sì?»
«Faccia un bel respiro, conti fino a tre e mi dica il suo nome e da dove chiama.»
«…»
«Signora…?»
«Non me lo ricordo. Gesù, non me lo ricordo.»
«Non ricorda come si chiama?»
«Non ricordo la via. Non ricordo dove abito. Gesù! Non potete localizzare la telefonata o qualcosa del genere?»
«Non nell’immediato, signora. Sta chiamando da un cellulare. Ma se mi fornisce il numero del fisso…»
«Non ce l’abbiamo il fisso. L’abbiamo tolto.»
«Allora è proprio necessario che mi dia il suo indirizzo, cominciando dalla città .»
«C’è un coltello accanto alla testa. Dovete muovervi. Potrebbe essere ancora in casa.»
«A chi si riferisce, signora?»
«…»
«Signora…?»
«Oh, santo…! C’è qualcosa nel ripostiglio. Qualcuno… Lo sento. Avevo ragione. È ancora in casa.»
«C’è un vicino che può chiamare, signora? Ho proprio bisogno di sapere da dove sta telefonando per poterla aiutare.»
«Vivo in una villetta. I vicini sono troppo lontani e… Oooh!»
«Signora, cosa sta succedendo?»
«È nel ripostiglio. Lo sento. Rantola. Dovete mandare i soccorsi.»
«Signora, si concentri e cerchi…»
«La porta…»
«Come dice?»
«La porta del ripostiglio…»
«Signora…?»
«La porta del ripostiglio si sta aprendo.»
«Signora…»
«C’è un uomo qui con me. Deve aiutarmi, la supplico. È mostruoso. Non ha la faccia. Mi aiuti! La prego. Glielo chiedo in ginocchio.»
«Signora, sto contattando la polizia. Forse loro…»
«Sta venendo verso di me. Adesso gli vedo gli occhi. Ha solo gli occhi. Niente faccia. Mio Dio! Sta’ lontano. Aaah! Sta’ lontano da me!»
«Signora, sto…»
«Via! Via!»
«Signora?»
«…»
«Signora, mi sente?»
«…»
«Signora, in questo momento è in contatto anche con il pronto intervento della polizia. Stanno cercando… Signora…?»
«…»
«Mio Dio, signora, è ancora in linea? Cosa sono questi rumori?»
«…»
«Signora, mi sente? Signora, la prego, risponda.»
«…»
Settembre 2019
Il nastro a bande oblique bianche e rosse era teso fra alcuni paletti d’acciaio piantati nel terreno per delimitare la zona.
L’area circoscritta includeva il primo tratto di una pista sterrata che si inoltrava nei campi partendo dalla complanare. C’erano poi un casolare abbandonato dell’Opera Nazionale Combattenti, una Ford station wagon bianca e gran parte di un cervello umano. L’organo, in poltiglia, condito con sangue ormai raggrumato, frammenti ossei e pezzetti di vetro, si stava asciugando al sole a metà strada tra la costruzione e il veicolo.
Nella Ford c’era un uomo accasciato sul volante: il proprietario della materia grigia. Il suo stesso sangue gli gocciolava addosso dalla cappotta. Il cranio gli finiva appena sopra l’orecchio.
Qualunque cosa gli fosse passata per la testa prima di morire doveva essere stata di grosso calibro.
Con quel che gli rimaneva della fronte, aveva suonato il clacson fino a quando un tecnico della Scientifica non aveva messo fine allo strazio scollegando la batteria. Era stato quel rumore insistente a richiamare l’attenzione del contadino che aveva ritrovato il corpo.
Il vicequestore Minischetti aveva un brutto presentimento. Gli sembrava di vivere un déjà -vu che non voleva saperne di scomparire. Un mese prima, un povero cristo era stato trovato in un boschetto non lontano da lì, con la testa attaccata al volante della sua auto e il cranio scoperchiato. Proprio come l’uomo nella station wagon.
Cercando di non strappare i copriscarpe monouso che aveva dovuto indossare per non incasinare la scena del crimine, Minischetti si avvicinò ai tre individui che stazionavano accanto alla vettura. Due indossavano una tuta integrale di Tyvek. Il terzo era in giacca e cravatta.
Il più alto non aveva né ciglia né sopracciglia. L’ispettore Di Niro era affetto da alopecia totale e, con gli occhiali protettivi che gli penzolavano dal collo, era riconoscibile anche con il cappuccio tirato su.
Il dottor Mossuto, il medico legale, era distinguibile dalla pancia enorme che minacciava di strappargli la tuta. Aveva ancora tutti i dispositivi di protezione al loro posto, ma sembrava non vedere l’ora di raggiungere gli specialisti ERT, gli Esperti di Ricerca Tracce, e gli altri tecnici della Scientifica che, conclusi i rilievi, si erano assiepati intorno ai loro pick-up modificati, al di là del nastro, in compagnia degli agenti che di solito tenevano lontani i curiosi quando l’omicidio non avveniva, come in quel caso, nel bel mezzo di un campo di pomodori a raccolta finita.
Il tizio in abiti civili era il sostituto procuratore Guglielmo Lamanna. Anche lui aveva le scarpe coperte.
Alla vista del magistrato, il brutto presentimento di Minischetti aumentò di intensità .
Si salutarono tutti con un silenzioso cenno del capo.
«Quale onore!» esordì il pubblico ministero. Non aveva motivo di fare ironia e non la stava facendo. Era solo un po’ gradasso. «Mi aspettavo al massimo una capatina del sostituto commissario.» Si riferiva al comandante della sezione Omicidi. «E invece… Il gran capo in persona.»
Minischetti non replicò. Si limitò a rivolgergli un sorriso di circostanza. Non gli piaceva perdersi in chiacchiere in presenza di un cadavere.
Andò al sodo.
«Allora, chi abbiamo qui?» Lo chiese sapendo che a rispondergli non sarebbe stato il medico. Minischetti non l’aveva mai sentito parlare al di fuori di un’aula di tribunale per una deposizione.
Anche Lamanna sapeva chi sarebbe stato ad aprir bocca. «Le tocca ripetere tutto,» disse, strizzando l’occhio a Di Niro. Annuendo, l’ispettore consultò il tablet che aveva fra le mani guantate.
«Giovanni Mantuano. Quarantadue anni. Sposato. Padre di due figli. Proprietario dell’auto. Idraulico. Nato e residente in città . Incensurato.»
Minischetti pensò: Cristo!
«Nel portafogli abbiamo trovato trecento euro più qualche spicciolo, e una carta Bancoposta con tanto di codice segreto scritto a mano su un foglietto.»
Cazzo! Quelle informazioni erano gravide di spiacevoli implicazioni.
Minischetti sentì il suo brutto presentimento salpare verso le inospitali coste di un’atroce certezza.
Il tizio ucciso nel boschetto era abruzzese, di passaggio in Puglia per lavoro. Era pertanto improbabile che avesse qualche rapporto con l’uomo nella Ford. Pure lui non era stato rapinato. Inoltre, anche lui era stato un signor nessuno.
In una provincia che comprendeva città in cui i pregiudicati rappresentavano la metà della popolazione residente, conteggiati anche i bambini, un signor nessuno era una persona onesta. Qualcuno non affiliato né alla Società né ad alcun altro clan connesso. Se due individui con la fedina penale pulita, senza collegamenti fra loro, venivano ammazzati intenzionalmente a un mese di distanza l’uno dall’altro, con le stesse modalità e senza essere stati derubati, allora bisognava per forza di cose cominciare a pensare a qualcuno che sceglieva le sue vittime a caso.
E Minischetti odiava il caso.
Odiava gli omicidi che non erano dettati da rancori o gelosie, dall’avidità , dalla vendetta, dalla necessità di dare l’esempio o di mandare un messaggio per meglio controllare il territorio.
Odiava quei crimini che non potevano essere risolti scandagliando le dinamiche interne alle cosche o le problematiche interne a una famiglia.
Odiava i pazzi, gli assassini seriali e i terroristi, ammesso che fossero tipologie di persone differenti. Nelle rare occasioni in cui ci aveva avuto a che fare, aveva perso il sonno. Letteralmente.
***
Vi ricordiamo che Chi muore e chi uccide di Vincenzo Padovano sarà disponibile in tutte le librerie dal 9 settembre!
Di seguito i link di alcuni store in cui potete già pre-ordinare l’ebook e il cartaceo!
Sito (ebook)
Sito (cartaceo)
Amazon (ebook)
Amazon (cartaceo)
Kobo
***
Lascia un commento